A Verona il Vinitaly è agli sgoccioli, in tutti i sensi. La sera, quando si rincasa, si nota il grado di partecipazione e di festa direttamente proporzionale al tasso etilico. Qualcuno esagera e viene portato via. Qualcuno si ferma sulla soglia dell’ubriachezza molesta. La città è in festa, però. Se qualcuno fa qualcosa di sbagliato, ci sta: è un effetto collaterale, non vorrete mica rovinare la festa.
Oltre agli operatori, pullulano i turisti che uniscono il bello della città al dilettevole della fiera. Tutto perfetto. La propaganda territoriale è spinta al massimo, se non ti fai fotografare con un calice in mano (attenzione ai selfie, potrebbero venire mossi) sei un asociale, che non coglie lo spirito dell’evento.
È una vetrina a cui nessuno si sottrae, star dello spettacolo e stelle (non solo cinque) della politica. L’economia del settore esplode, la qualità si fa più alta, si diffonde (soprattutto nel Veronese) il biologico. E mentre scrivo mi bevo un bicchiere di Soave, anch’io. E non ci penso più.
Immaginate che cosa sarebbe se, per via di un approccio proibizionistico collegato alla grande dannosità dell’alcol, la fiera fosse sospesa, i produttori consegnati alla giustizia, la filiera interrotta e costretta alla clandestinità. I politici in visita additati come sovvertitori dell’ordine costituito. Se rubizzi, stigmatizzati per il loro pessimo esempio. Se colti con in mano un grappino, consegnati alla storia. Le vigne estirpate, perché anche la coltivazione è vietata (se coltivi, poi distribuisci, no?).
Sorridete? È già successo, nella storia recente, che gli alcolici fossero presi di mira. Negli Usa e in molti altri paesi (forse il caso più ‘incredibile’, in proposito, è quello dell’Islanda). Eppure a noi pare incredibile.
Ora provate a immaginare se a Verona o in chissà quale altra città si tenesse una fiera della cannabis promossa dalle istituzioni. Con incontri dedicati alla ricerca scientifica, alle soluzioni terapeutiche, alla ricerca del prodotto di qualità, a campagne informative sul consumo consapevole e sul senso della misura (parola che sta anche per «disposizione di legge», guarda caso), con la pubblicazione di report e di indagini sull’evoluzione del mercato, finalmente legale.
Immaginate la pubblicità: il ritorno di un prodotto per cui l’Italia era leader mondiale, diffuso in tutto il territorio nazionale. La canapa che unisce il paese. Il filo – di canapa, ovvio – che attraversa le nostre province, che unisce passato e futuro, tra la riscoperta di antiche modalità di coltivazione e la tecnologia che tiene sotto controllo il prodotto e la sua qualità.
Sorridete? Eppure sta succedendo, in altri paesi, tra depenalizzazione e legalizzazione vera e propria. Succede negli Usa, e succede in Europa, tra Olanda e Portogallo. Succede che se ne parli in modo più informato, che vi sia una consapevolezza sociale e sanitaria che corrisponda al consumo. Un consumo che dilaga, nel nostro paese, proprio mentre la cannabis è vietata, bollata ancora con infamità, mentre ne fanno uso 5-6 milioni di italiani (un partito che al giorno d’oggi potrebbe concorrere per vincere le elezioni, per intenderci).
Intervistatissimo il ministro dell’Economia che spiega alle tv locali ma anche alla BBC che la legalizzazione ha portato benefici miliardari, investiti in sanità e prevenzione, nella diffusione di servizi sociosanitari d’avanguardia e che si studiano nuove misure per migliorare l’approccio qualitativo, che consentirà, dichiara, di «affrontare in modo moderno ogni dipendenza». Con lui, sorridente, il sottosegretario all’Interno che snocciola statistiche e numeri per segnalare la riduzione degli arresti e dei costi del sistema della giustizia, a favore di una maggiore capacità di incidere nel contrasto alla criminalità, «con le ingenti risorse recuperate grazie alla legalizzazione».
L’organizzatore della fiera commenta entusiasta: «abbiamo fatto come con il vino, che forse fa più male della cannabis, di sicuro crea più problemi alla società: abbiamo puntato sull’eccellenza e sulla qualità, sulla ricerca e sulla difesa del prodotto dalle contaminazioni».
P.S.: Leopoldo Grosso cura un bel libro appena uscito per le edizioni del Gruppo Abele (Questione cannabis. Le ragioni della legalizzazione): un libro che affronta diversi aspetti e che mette in fila ragioni, obiezioni e elementi di criticità, senza alcun dogma da difendere (che è un problema, quello di vivere nel paese dei dogmi e degli editti e delle leggi che ci sono tanto nessuno le rispetta, anche). Un libro che consiglio a tutte e tutti, per farsi un’idea di ciò di cui stiamo parlando.
Argomento che è completamente sparito dal dibattito pubblico italiano. Del resto il risultato delle elezioni dice che hanno vinto sia i nemici sia i fautori della legalizzazione. Solo che i primi tengono la propria posizione, i secondi non ne parlano più (hanno iniziato accortamente a non parlarne già in campagna elettorale e la sinistra, come al solito, si è spaventata stupidamente ha fatto finta di niente).
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