«Abbiamo svenduto i diritti dei lavoratori per un’insalata in ufficio»: un titolo folgorante di The Vision apre una ricca indagine di Giovanni Bitetto sul fenomeno dei «rider».
Curioso che non si trovi una giusta remunerazione nemmeno per le cose che hanno a che vedere con un piccolo lusso o, meglio, con un vero e proprio sfizio: ci viene fame ma siamo divanizzati e perciò ordiniamo un panino, un hamburger, un cartoccio di ravioli cinesi. Al nostro languorino e alla nostra pigrizia corrispondono, però, paghe da fame per chi si occupa della consegna, in un rapporto di lavoro fondato sul cottimo e su dichiarate forme di sfruttamento, nonostante sia rappresentato tutto quanto in modo tecnologico e in perfetto inglese.
Vero è che il settore delle consegne è stato da sempre il luogo del nero quasi assoluto, ma è altrettanto vero che se nemmeno per un servizio del genere si riesce a trovare un equilibrio salariale, significa che le contraddizioni del «sistema» stanno diventando caricaturali. Peraltro, a essere ridicole non sono solo le retribuzioni, le modalità con cui sono corrisposte, la mancanza di coperture assicurative e di minime garanzie, ma le stesse modalità con cui il lavoro è distribuito (dall’algoritmo!) paiono pessime: perché cambiando l’ordine dei fattorini, il risultato per ciascuno di loro, in termini economici, cambia eccome e cambia la condizione nella quale si trovano. Perché al cottimo corrisponde sempre il ricatto.
Una questione di minima civiltà a cui dare risposta, senza inutili giri di parole, con provvedimenti legislativi non più derogabili.
P.S.: per seguire la questione, consiglio di non perdere di vista il lavoro di Davide Serafin e altri, che trovate all’indirizzo giustapaga.it.
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