Prosegue la raccolta di solidarietà per Riace e la raccolta firme perché la Rai si decida a mandare in onda il film su ciò che è accaduto in questi anni e sul lavoro dell’amministrazione Lucano.
Nel frattempo i fondi destinati all’accoglienza non arrivano e prosegue lo sciopero, tra le vie del villaggio globale del paese calabrese.
Incontro Mimmo Lucano sul far della sera, nella piazza dove tutto si incontra e si tiene. Donne venute da ogni confine con i loro bambini, un curdo con la parlata calabrese, rifugiati che sono diventati mediatori, ragazzi che tornano per le vacanze, consiglieri comunali che tornano dal lavoro, visitatori come me che scoprono Riace. Al bar dietro l’angolo sono contenti, perché non c’è mai stato un viavai come quest’estate. È arrivato settembre e si cerca di capire come si può fare per mandare i bambini a scuola, che sono mesi ormai senza soldi e senza risposte.
Stefano Catone parla con una donna italiana che ha una lunga storia. È nata in Sudan, in un campo profughi, da genitori etiopi, ed è quindi anche etiope. È arrivata in Italia nel 2004, dopo essere scappata nel 1999, passando dalla Libia. «Ora inizia la scuola e noi non percepiamo lo stipendio da mesi», ci spiega. «Come facciamo a pagare gli abbonamenti per il trasporto dei ragazzi che devono andare a scuola?». L’anno scorso è stata per la prima volta in Etiopia. Voleva tornarci e ha potuto tornarci perché cittadina italiana. Da etiope non avrebbe potuto: ha dovuto aspettare di avere un passaporto italiano per poter tornare dov’era nata.
Chi non è stato a Riace non può capire, mi dicevano. E ora ho capito perché. Perché come dice Lucano è “la prova che è possibile”. Una prova semplice, così, come si vede. Senza fare troppi giri di parole, senza avvelenarle con la strumentalizzazione d’ogni cosa. La dimostrazione plastica, proprio, che si può vivere insieme. Che la sicurezza non si impone con la forza, ma è questione sociale, che matura con la vita comune. Che si possono mettere a posto le case per ospitare persone, dopo anni di degrado e di abbandono. Che si può dare lavoro agli italiani dove il lavoro non c’è perché si occupino di chi arriva, dopo che tantissimi da qui sono partiti. Che i bambini possano aprire la porta di una scuola, chiudendo quella della guerra che lasciano alle loro spalle.
Lucano racconta che non l’hanno fatto apposta, di diventare il paese dell’accoglienza. Che si sono trovati il naufragio di una barca e hanno iniziato a soccorrere le persone. E che poi le cose sono andate così, da sé. In una evoluzione naturale. Con l’impegno quotidiano, con soluzioni inedite, con un’opzione politica nel senso più profondo.
Riace da sola è antidoto – verrebbe da scrivere anche: vaccino – contro tutte le schifezze che si leggono. Basterebbe un’ora anche a chi sceglie i toni più efferati per ritrovare il rispetto che si è perduto. Per restituire un po’ di senso alle parole. Per ritrovare il senso delle proporzioni.
Lucano stesso è un certo tipo di risposta, di suo: nemmeno il troll più esagerato potrebbe bollarlo come radical chic, lui non fa manifestazioni, lui fa cose, non astrae, agisce. Non è cool, né lui né il paese di cui è sindaco. Non cerca visibilità, al massimo incontra guai. Ha molti amici e appassionati nemici, Gasparri, Salvini, i potentati locali di una regione in cui è difficile fare il sindaco anche senza ospitare i migranti.
I soldi non arrivano ma Riace continua ad accogliere. Ed è assurdo che chi nega il finanziamento, continui a mandare persone da ospitare.
Lucano è felice per la mobilitazione, ma i soldi della raccolta che ha superato i 250.000 euro, dice che non li vuole. Che serviranno per fare altre cose, ma che Riace attende le risorse che le spettano per l’accoglienza, che in questi anni ha investito per recuperare il borgo, per i laboratori, per le fattorie didattiche.
Intorno a Riace, verso il mare, tra il vecchio borgo e la Marina, il paesaggio, pieno di fascino, è lunare. Come è lunare tutto ciò che si legge e si dice, altrove, di un’accoglienza invece possibile soprattutto se è spiegata, vissuta, condivisa, non imposta, non gettata nelle comunità, ma trasformata in comunità essa stessa.
Andateci anche voi, politici d’ogni risma. Ci metterete parecchio, soprattutto se prenderete la Jonica, che ‘separa’ Riace dal resto del mondo. Troverete una realtà che non conoscete e che vi rimanderà un’immagine diversa di voi stessi. Poi ce lo raccontate, va bene?
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