Nell’ultimo report sui migranti, l’Ocse ha fatto presente che l’Italia è tornata a essere ai primi posti mondiali come Paese d’origine degli immigrati. Secondo l’Ocse, la Penisola è ottava nella graduatoria mondiale dei Paesi di provenienza di nuovi immigrati. Al primo posto c’è la Cina, davanti a Siria, Romania, Polonia e India. L’Italia è subito dopo il Messico e davanti a Viet Nam e Afghanistan, con un aumento degli emigrati dalla media di 87mila nel decennio 2005-14 a 154mila nel 2014 e a 171mila nel 2015, pari al 2,5% degli afflussi nell’Ocse. In 10 anni l’Italia è “salita” di 5 posti nel ranking di quanti lasciano il proprio Paese per cercare migliori fortune altrove. Questo è quello che emerge dalle cancellazioni anagrafiche registrate in Italia, ma Enrico Pugliese nel suo Quelli che se ne vanno. La nuova emigrazione italiana (Il Mulino) ci dice che questi dati sono parecchio sottovalutati. Le anagrafi e gli uffici statistici dei paesi di destinazione ci rivelano che i numeri sui trasferimenti degli italiani all’estero dovrebbero essere aumentati almeno di 2,5 volte. Sarebbero quindi poco meno di 300.000 i nostri connazionali che lasciano il Paese. Sono numeri molto simili a quelli dell’Italia del secondo dopoguerra. E numeri così grandi non possono riferirsi soltanto alla “fuga di cervelli”, se ne stanno andando anche e soprattutto le braccia di coloro i quali non scelgono di andare all’estero ma sono costretti ad emigrare.
Nessuno (o quasi) parla mai di queste persone. E soprattutto nessuno parla con loro. Eppure c’è da scommettere che proprio dalle storie dei nostri nuovi emigranti possa emergere un quadro più chiaro delle reali mancanze e dei ritardi del sistema Italia. È più che probabile che ascoltando loro ci si accorgerebbe che ancora una volta un governo che promette cambiamento in realtà sta lasciando tutto com’è o tutto com’era, sett’antanni fa. D’altronde quando chiesero a Salvini un commento sugli italiani che vivono all’estero, lui scrisse: “Chi scappa non merita di stare qui, lo considero un fannullone, e non è un caso che in genere siano sempre meridionali e africani ad andarsene, gente senza la cultura del lavoro”.
Siccome dire e fare il contrario di ciò che Salvini dice e fa è sempre una buona idea, ho deciso di incontrare quelli che se ne sono andati. Per conoscere i motivi di questo esodo, per raccogliere idee e suggestioni, denunce e osservazioni. Per fare utili paragoni, per prendere esempio, per studiare le differenze. Comincio da Barcellona, la settimana prossima. L’Italia, così com’è, costringe le persone ad andarsene. Per cambiare veramente il Paese bisogna ascoltare chi è stato costretto a cambiare Paese.
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