La questione del salario e delle retribuzioni è sparita dal dibattito politico italiano. È una questione legislativa, certo, e amministrativa, per quanto riguarda i controlli e le misure necessarie per evitare le truffe, il dumping e la concorrenza sleale. Ma è prima di tutto una questione culturale, legata alla percezione di un mondo che ha conosciuto un ventennio di propaganda antisindacale e di minimizzazione della questione dei diritti, attraverso una loro monetizzazione (al ribasso), compiuta con il contributo decisivo del fu-centrosinistra.
Al peggio non c’è stato limite: si è preteso dai lavoratori qualsiasi cosa. Al posto della consapevolezza di un sistema dei diritti si sono imposti – ai giovanissimi – periodi non retribuiti, stage, forme di sfruttamento le più diverse e sempre giustificate da ragioni superiori, che spesso nascondono il profitto di qualcuno che grazie al mancato riconoscimento del valore del lavoro altrui ‘valorizza’ se stesso.
In Italia si può lavorare per niente e si deve anche ringraziare. Se questo non cambierà, sarà impossibile ragionare a posteriori di qualsiasi intervento contro le disuguaglianze: non è un caso che siano messi in discussione, per le stesse ragioni, anche la progressività fiscale o gli interventi distributivi sistematici, anche questi buttati via come se fossero ferri vecchi. Tutto, ormai, è alienato.
Senza più valore è il libro di Davide Serafin che trasforma le tre parole del titolo in pagine documentate e appassionate. Leggerlo risponde ad una prima esigenza: cambiare il punto di vista sulla questione fondamentale del nostro tempo per tornare a credere alla possibilità di costruire una società più rispettosa di tutte e tutti.
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