Alla questione avevo dedicato un piccolo pamphlet, lo scorso anno, pubblicato da La Nave di Teseo, in cui parlavo dell’indifferenza a proposito dei campi libici, del distacco con cui gli italiani e gli europei seguono la sorte di decine di migliaia di persone senza alzare un dito. E quando lo alzano, in quelle rare occasioni in cui lo fanno, è per dirsi d’accordo, per festeggiare la loro detenzione in Libia che consente di diminuire gli arrivi sulle nostre coste.
Un’indifferenza che dilaga nonostante un’informazione tutto sommato diffusa. «Voi sapete», diceva il titolo.
L’indifferenza è la questione. Liliana Segre dice che è più grave della violenza, perché ne pone le condizioni e le consente di diffondersi. Senza l’indifferenza la violenza avrebbe vita difficile, ci dice Segre.
Un’indifferenza verso l’altro che dipende dalla sua definizione come essere inferiore, secondario rispetto a noi che invece siamo primi, veniamo prima. Quegli altri vanno schedati, censiti, discriminati e poi a volte anche eliminati. Giunti a quel punto, la ‘cosa’ non ci riguarda più.
Un’indifferenza rispetto a ciò che è giusto e sbagliato, rispetto a ciò che è vero e falso, in una confusione voluta di tutto quanto. Si smarrisce il senso delle proporzioni, si perde la misura.
È molteplice l’indifferenza. Come la nebbia alla finestra, questa mattina, copre tutto.
È generalizzata l’indifferenza. All’inizio è destinata a una minoranza, certo, ma presto si diffonde.
È un mare nero, in cui le persone perdono il loro nome, diventano numeri, sono sommerse. Chi osserva quel naufragio dell’umanità, si volta dall’altra e se guarda, non vede.
Si ripete nel corso della storia, perché l’indifferenza fa parte della storia dell’uomo e delle società che ha costruito. Non ritorna, perché non se ne è mai andata.
Liliana Segre. Il mare nero dell’indifferenza, People.
Per ora qui, dal 17 gennaio in tutte le librerie.
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