Dell’indifferenza ho scritto in relazione alla testimonianza e al messaggio carico di senso presente di Liliana Segre. Le forme dell’indifferenza sono molteplici. La principale, di questi tempi, è quella per le proporzioni.

49 persone in mare per 19 giorni. 49. Un condominio, nemmeno tanto grande. 49 per 60 milioni di italiani, quasi 600 milioni di europei.

Lo stesso vale per il complesso della questione accoglienza. Nei momenti in cui il flusso è stato più alto, le persone che sono giunte nel nostro Paese non hanno mai superato le 200.000 unità. La maggior parte di loro in Italia nemmeno si voleva fermare. Voleva approdare, al massimo, sulle nostre coste.

Rapportata alla popolazione italiana quella cifra rappresenta lo 0,3% della popolazione. Rapportata alla popolazione europea lo 0,03%.

E a proposito di sproporzioni, anzi di vera e propria dismisura, l’Italia e l’Europa hanno ritenuto plausibile affidare ai peggiori aguzzini del mondo la gestione dei flussi migratori, per ridurre ai minimi termini quei flussi. Si sono affidati ai capi dei campi libici, che poi sono le stesse persone che organizzano il traffico illegale (che è illegale perché non c’è modo legale per arrivare in Italia, come sappiamo, grazie a una legge fatta dalla destra)

La tortura, lo stupro, la schiavitù come fossero soluzioni amministrative. Anzi, lo sono diventate, soluzioni amministrative.

Sono attività per le quali offriamo sostegno, strumenti e soldi. Come se fosse la cosa più normale del mondo. E alla fine del lavoro sporco, sporchissimo di questi signori della violenza noi festeggiamo, perché ci sono meno «sbarchi». Complimenti vivissimi, anzi mortissimi.

L’indifferenza verso le proporzioni e la misura è giunta al colmo. Prima che arrivasse Salvini: lui gigioneggia e porta a casa il consenso basato sul livore, alimentato dal mondo dell’informazione e da quasi tutte le parti politiche, più o meno consapevolmente.

E questo particolare tipo di indifferenza si basa su una mossa tipica di tutti i totalitarismi e di tutti i regimi che diciamo di detestare: la sostituzione dei volti e dei nomi delle persone con un numero. Non li guardiamo in faccia, non li consideriamo umani. E il non considerarli umani è la forma più profonda di disumanità. Non sono come noi. Sono loro, un generico loro. Sono un numero.

Quando ho incontrato Liliana Segre non ho potuto non osservare, con pudore e commozione, che quando parlando si solleva il golfino sull’avambraccio, compare il numero con cui avevano sostituito il suo nome. E mi ha colpito che quel gesto che ciascuno di noi fa decine di volte al giorno arrivasse nel momento in cui la Senatrice mi stava parlando della riduzione delle persone a cose. Dell’indifferenza che rende tutto ciò possibile. Di più, legittimo, perché questa cosa ha sempre a che fare con le leggi.

L’indifferenza è comoda, ripete Segre. È comodo non chiedersi mai come è organizzato il pianeta, chi guadagna dal depredare di risorse un intero continente. Non ce lo chiediamo perché è una domanda scomoda. Non ci chiediamo perché vengano da noi. Quali sono le ragioni per cui rischiano la vita. Perché mettono in conto la violenza indicibile a cui vanno incontro. Non ci chiediamo che cosa faremmo noi, come ha detto il sindaco di Torre Melissa ieri, in una testimonianza fortissima, se fossimo nelle loro condizioni.

L’indifferenza è omissione. Vuol dire tralasciare. E noi tralasciamo.

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