Il caso Peveri non c’entra nulla con la legittima difesa. E non c’entrerebbe nulla anche se fosse intervenuta la norma tanto cara a Salvini e alla lobby delle armi che lui non fa alcun mistero di rappresentare – tanto da avere firmato accordi in campagna elettorale, per una volta alla luce del sole, rivendicandone il significato politico e prima ancora culturale.
Il fatto che il ministro dell’Interno si rechi in carcere a visitare un condannato, non per ragioni di solidarietà personale, oltretutto, ma per strumentalizzarne politicamente la vicenda, è semplicemente gravissimo e fa parte di tutta quella lunga rassegna di comportamenti e di dichiarazioni contrari alla Costituzione a cui il ministro ha abituato il Paese.
Salvini non solo finge di non cogliere la pericolosità di una maggiore diffusione delle armi e del farsi giustizia da soli, che ha dimostrato anche nel caso di Peveri di portare a conseguenze irreparabili, da ogni punto di vista.
Salvini esalta questi episodi, ne trae base e fondamento per una politica che mette dichiaratamente a rischio la nostra sicurezza e la nostra incolumità. Anche quella di chi si arma, anzi, potremmo dire, soprattutto quella di chi si arma e dei suoi familiari.
Il caso Peveri dovrebbe fare riflettere, ragionare sulla prevenzione e sulla qualità dell’intervento delle forze dell’ordine, tutte cose decisamente importanti per un ministro dell’Interno. E così dovrebbe essere sempre quando muore una persona o, come in questo caso, quando è gravemente ferita. E invece tutto si rovescia in una propaganda da esaltati, a rincorrere la violenza e a celebrare episodi che fanno comodo a una certa propaganda e mettono a rischio tutti quanti. Anche se non ce ne rendiamo conto, anche se qualcuno fa di tutto per confonderci.
Per tutte queste ragioni è importante sostenere chi si batte per raccontare come stanno le cose. L’informazione sì è “legittima difesa”. Tutto il resto è pericolo, diffuso e a volte palesemente illegittimo.
La campagna di Stefano Iannaccone su Eppela.
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