C’è un certo sollievo per il risultato delle primarie del Pd. Pare che siano andati a votare esponenti degli altri partiti, elettori dichiaratamente anti-Pd, intellettuali a sinistra del partito comunista cinese, in ragione della situazione di emergenza.
Quello che manca, se posso, è che non si capisce bene «che cosa» si sia votato, al di là del principio generale di superare la fase precedente, che per carità non è poca cosa, benché sia stato condotto da un pool di rivoluzionari del calibro di Franceschini, Minniti e Gentiloni. Convertiti? Per l’ennesima volta? Può essere.
Per esempio cosa facciamo con il salario minimo, di cui parlano tutti i paesi del mondo? Cosa facciamo con la progressività fiscale? Cosa facciamo per la scuola e per la ricerca?
Ancora: cosa facciamo per l’ambiente, perché una citazione di Greta non fa primavera, per chi viene dallo Sblocca Italia e da politiche nazionali e regionali non proprio coerenti con il messaggio. We are screwed, appunto.
Ci sono novità in questo senso? C’è l’impegno a ridurre le disuguaglianze, a rispondere all’emergenza sociale per troppo tempo snobbata? A qualcuno interessa parlare di casa, come fa Ada Colau a Barcellona? A far diventare il nostro paese leader nelle politiche contro il climate change?
E cosa si pensa di fare con le leggi sbagliate di questa e ahinoi della precedente legislatura? La linea sull’immigrazione chi la farà, con chi la discuterà?
L’entusiasmo è comprensibile, benché il voto largo su Zingaretti dipenda dalla scelta di altri avversari più temibili di non misurarsi. Alle primarie, si sa, si vota storicamente chi è in vantaggio. Però, appunto, il dato emotivo c’è. Che ci sia anche il dato politico, e orizzonti diversi, non lo sappiamo. Intanto lo ricordiamo, come lo facevamo quando si faceva il contrario, nella speranza che sia cambiato qualcosa. E qualcuno voglia affrontare il #cosamanca.
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