A proposito di recentissime polemiche, mi permetto di ricordare che nel libro Il mare nero dell’indifferenza Liliana Segre ci invita a evitare facili analogie e parallelismi automatici tra epoche storiche diverse e tra eventi che non sono sovrapponibili: confondere le cose non aiuta a comprenderle per ciò che sono.
Con altrettanto rigore però ci invita a riconoscere i segni di una deriva sempre possibile, di una perdita di senso e di forza della democrazia, di uno scivolamento che all’inizio può essere lento e impercettibile e poi cresce in velocità e in violenza.
Il punto per lei, l’unica questione davvero in gioco, è la questione dell’indifferenza o, al rovescio, della nostra responsabilità e della nostra presenza – dice proprio così «presenza» – quando si manifestano discriminazioni e ingiustizie, quando le persone sono etichettate e bollate, quando ci si concede al linguaggio dell’odio e della sopraffazione.
Non sono mai solo parole, ci ricorda Segre. Così come le persone non devono mai e poi mai essere ridotte a cose o a numeri, anche nel nostro modo di raccontarle, come invece ci capita troppo spesso.
E chi assiste senza fare nulla, voltandosi dall’altra parte, è complice di ciò che di grave e, a volte, di mostruoso può accadere.
Non pensiate che sia un monito per gli altri, per i cattivi, per gli stronzi. È un monito per tutti, perché l’indifferenza fa parte di noi, della nostra vita e l’odio stesso è sempre sulla soglia della nostra esistenza. La libertà consiste nella ricerca, inesausta, di liberarsene.
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