All’uscita 25 c’è a Laurentina. Dalla quiete del Teatro Marittimo di Adriano siamo passati al delirio del Teatro Automobilistico del GRA, il venerdì, verso il mare.
Noi puntiamo con grinta e la giusta carica verso il litorale: un poco più a sud sbarcava Enea, profugo lui e profughi i suoi compagni, e dava inizio alla nostra storia, almeno secondo il mito.
L’alba a Ostia – noi siamo a Torvajanica, per la precisione – non si vede, com’è noto, ma il tramonto sì. Ed era giusto finire qui, dove un giorno di primavera un bagnino mi aveva detto: lei è venuto per vedere la spiaggia? Tra poco non ci sarà più, la spiaggia.
Il mondo non finirà finché ci saranno gli amici. Stefania e Daniela e Sandro e Sarita e il suo romanzo in cui i protagonisti sono i vecchietti anarcoinsurrezionalisti che attraversano il Mediterraneo all’incontrario. Se non si muovono loro, o i giovanissimi, dice Sarita, non si muove nessuno.
Abbiamo riconsegnato il furgoncino, abbiamo sistemato i libri, spediti quelli che ci erano rimasti. Ho decine e decine di pagine di appunti “da stirare”. E progetti per il futuro (segreti e piani segreti, come dice la canzone), un piccolo festival promosso da People e dedicato ai libri degli altri (segnatevi il fine settimana del 21 e 22 settembre), altre pagine da scrivere, alcune, e da leggere, all’infinito.
Devo ancora parlarvi di Fine, mentre il Maestro Coautore si è imbarcato a Napoli verso Palermo e se ne sono perse le tracce. Majorana.
Vi anticipo solo una cosa che mi scrive Giampiero, che lo ha letto:
“Noi che viviamo situazioni di privilegio dovremmo cercare di preservare ambiente ed equilibri sociali quasi più per interesse personale che per altruismo”.
Ha ragione. Ma molti preferiscono salvare i propri privilegi, non il pianeta. Ed è la tesi da cui muove il libro.
Avessimo letto di più Giordano Bruno – che alla fine emise contro la propria volontà un botto di CO2, ma che sapeva che l’universo è attraversato e permeato da un’unica anima e da un’unica vita (perdonatemi la semplificazione) – ora saremmo più consapevoli e migliori.
La filosofia dopotutto non serve a niente, soprattutto se ne facciamo intenzionalmente a meno.
Dopo quattordici giorni e quattordici incontri, i chilometri che sono diventati 1600, abbiamo imparato molto. Con Stefano, che ringrazio perché è un po’ di anni che condividiamo follie chissà quanto lucide. Perché lui è roccia e sorriso.
E come in un piano-sequenza un giardino a Salerno, ad Acciaroli una tartaruga che non depose le uova ma ci provò, un tempio greco al sole, una sconfitta vittoriosa a Potenza, il vento di Matera, Altamura e la sua biblioteca di comunità, Bari, un parcheggio e un amicosempre, le ricariche e le pale verso Lanciano, Senigallia e il decimo PolitiCamp, una piazzetta a Fano, il talento di Giulio, una sera a Ravenna a tirare tardi con due grandi amiche (grandi, loro), il miracolo delle Nozze di Figaro spiegate anche a me, Chiara e la sua borraccia di Linus, Il Mosaico di Antonella e l’immenso Alfonso, un passo appenninico che si chiama Sambuca, il Mugello, il tetto di un teatro a Firenze e la generosità di Leo, Mannaggia a Perugia, le memorie di Adriano. La bellezza dappertutto. Dentro e fuori ogni cosa.
Quello che abbiamo capito o pensato di capire ve lo scrivo domani.
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