Elogio della finta (Neri Pozza) è un libriccino strepitoso, come Garrincha e le finte – più o meno sempre lo stesso movimento, da destra verso l’interno del campo – da cui muove.
Affronta uno o due João: così chiamava i difensori avversari, sia i grossi marcantoni sia quelli piccoli e tosti, ridotti, agli occhi di Sua Maestà, a marionette, a paletti da slalom, anonimi. Garrincha è fermo, João sta all’erta e la folla trattiene il fiato: che farà il mago? Uno, due, tre doppi passi? Quante finte, quante false partenze, prima di sgusciare velocissimo, piegato in due, come se avesse perso qualcosa, verso la linea di porta.
Olivier Guez parte dalle scorribande sulla fascia del giocatore più improbabile e talentuoso della Seleçao che vinse tutto e ripetutamente per raccontare in poche pagine un grande paese, in cui si sono confuse le storie più diverse e anche le contraddizioni più difficili da ridurre, che non a caso continuano a esplodere nella sua attualità.
È il Brasile del meticciato che viene dalla schiavitù, del malandro, del dribbling come essenza (metafora sarebbe poco) di un paese ambiguo per definizione. E per questo mai risolto, come dimostrano tutti i tentativi di organizzarlo in modo scientifico. Tutto parte da una partita, la finale del 29 giugno 1958, la partita dell’asso degli assi, seguendo una lunga traiettoria che per Guez si conclude con i Mondiali del 1982, che tutti ricordiamo e la mia generazione porta dentro di sé per tornarci, idealmente, a ogni inizio d’estate.
A proposito della malandrade del dribblatore, Guez si affida a Roberto De Matta, celebre antropologo, che la spiega così:
Il dribbling è ondeggiare, prendere una direzione e cambiarla all’ultimo momento, avanzare per indietreggiare o aggirare il difensore. Quest’arte di dissociare il corpo, i gesti e la guida della palla, in poche frazioni di secondo, ha qualcosa della prestidigitazione. Il difensore indietreggia, fissa gli occhi del dribblatore, le sue gambe, il piede di appoggio, esita a lanciarsi, scalpiccia, indietreggia ancora, sconcertato. È accaduto che certi difensori dimenticassero la palla e seguissero Garrincha perché monopolizzava a tal punto la loro attenzione da provocargli una dissonanza cognitiva. I piedi del dribblatore sono ambivalenti, lo portano e al tempo stesso lo strumentalizzano, come mani o come una racchetta, non si sa più di preciso chi sia a comandare.
Chissà se Guez ha ragione o se la sua idea di racchiudere un’intera nazione in una finta è solo una falsa pista, come quelle dei suoi idoli, dei funamboli del calcetto, capaci di colpi magistrali sulla sabbia e sui campi più marginali del mondo, da cui tutta questa storia nasce. E continua a farlo, ogni giorno.
Nel dubbio ci perdiamo nel suo racconto e ci facciamo seminare di buon grado, fino al prossimo numero, laggiù, sulla fascia che tutto lo stadio osserva con le più grandi aspettative e le peggiori apprensioni.
#ilibrideglialtri
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