Uno dei miei passi preferiti di tutti i tempi è di Kurt Vonnegut. Lo si trova in un discorso che tenne agli studenti della Butler University, Indianapolis, l’11 maggio 1996. A un certo punto dice così:

Da quanto ho letto nel libro della Genesi, Dio non donò ad Adamo ed Eva un pianeta intero.
Gli donò una proprietà di dimensioni gestibili, diciamo, tanto per intenderci, ottanta ettari.
E io consiglio a voi, Adami ed Eve, di proporvi come obiettivo quello di prendere una piccola parte del pianeta e metterla in ordine, rendendola sicura, sana di mente e onesta.
C’è un sacco di pulizia da fare.
C’è un sacco di ricostruzione da fare, sia a livello spirituale che materiale.
E, ripeto, ci sarà anche un sacco di felicità. Mi raccomando, rendetevene conto!

(Kurt Vonnegut, Quando siete felici, fateci caso, Minimum Fax 2013).

Ecco, voglio dedicare queste parole a Chiara Alessi. Alla sua decisione, la sua scelta direbbe Liliana Segre, di fare una piccola, grandissima cosa. Di incontrare, durante un viaggio in Costa d’Avorio, la famiglia del piccolo Ani, il ragazzino che è morto nel vano del carrello di atterraggio di un aereo dell’AirFrance, all’inizio del 2020. Di andare a cercarli, i suoi familiari, in una piccola casa ad Abidjan, e di aiutarli a fare in modo che valesse anche per loro ciò che per noi da questa parte del mondo è considerato scontato: riconoscere il corpo del proprio figlio, riportarlo a casa, dargli degna sepoltura.

Fino all’intervento di Chiara e poi ancora per giorni e giorni tutto questo era negato perché impossibile al padre di Ani e alla sua famiglia. Perché non potevano permettersi il viaggio – sullo stesso, doloroso aereo – per andare in Francia e soprattutto perché, per la Francia, non avevano il visto (e vengono in mente gli svaporati che ancora dicono: perché attraversano il Mediterraneo, quando potrebbero prendere un volo?!). Perché non sono persone come noi, dicono la burocrazia e la politica dei nostri tempi: certe cose che noi possiamo fare, loro non possono. E basta.

A Alessi quel basta non è bastato. E ha insistito. Ha fatto casino. Ha chiamato ambasciate, avvocati, colleghi. Ha scritto all’Eliseo. Ha twittato chiedendo, a sua volta, aiuto. E ha così organizzato una vera task force per rendere ciò che sembrava impossibile, doveroso. Perché lo era, perché lo è. E ha trovato sul suo percorso la comunità di Sant’Egidio, una sindaca – quella di Parigi – che si è presa a cuore il caso, professionisti disponibili a dare una mano, superando problemi e condizionamenti che hanno costellato ogni singolo passaggio di queste ultime settimane.

Le cose belle e semplici illustrano il senso del nostro passaggio su questa terra. Danno dignità alle persone, che beneficiano di questi gesti, ma soprattutto alle persone che di questi gesti sono protagoniste.

E non serve cambiarlo tutto, il mondo. Serve cambiare gli ottanta ettari di Vonnegut, anche se si trovano a migliaia di chilometri di distanza. In un altro mondo, che noi trattiamo come se non fosse il nostro.

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