Greta Thunberg ieri è andata all’Europarlamento e ha picchiato duro, durissimo.
«Ciò che la Commissione sta presentando oggi è una resa», ha detto Greta. «Sapete che la casa è in fiamme, ma andate a letto tranquilli, come avete sempre fatto». E, ancora, «L’incendio che divampa lo spegnerete troppo tardi, quando ormai tutto sarà bruciato, consumato».
E allora certo potremmo pensare che c’è altro da fare, che ha stancato, la ragazza svedese, che non è di questo che ci si deve occupare ora.
E invece, ancora una volta, ha ragione Greta. Perché la situazione è straordinaria, anche in relazione all’epidemia, ma se la situazione è straordinaria, abbiamo bisogno di misure straordinarie per ripartire.
Non basteranno le piccole soluzioni emergenziali, né le soluzioni immediate, quelle scontate. Ci vuole un piano, una strategia, ci vuole una politica che investa, che faccia scelte radicali, che rimetta a posto le cose storte che ci accompagnano da troppo tempo. Non per tornare “a prima”, ma per andare avanti, molto avanti. Non soltanto per recuperare i danni causati dal Coronavirus, per sostenere chi ne è stato più colpito, per risollevare settori in difficoltà. La verità è che non abbiamo bisogno di piccoli indennizzi, abbiamo bisogno di grandi progetti.
L’epidemia in corso, infatti, dovrebbe rendere evidente anche a chi fino ad ora ha tenuto la testa sotto la sabbia quanto sia potenzialmente fragile il modello economico che regola il nostro sistema.
Basta il diffondersi di un virus – per quanto potenzialmente pericoloso – non certo paragonabile alle pandemie che nei secoli passati hanno fatto milioni di morti, per mettere in crisi mezzo mondo, è sufficiente qualche migliaio di ammalati a far tornare la preoccupazione per una recessione del calibro di quella del 2008, di cui paghiamo ancora le conseguenze a oltre dieci anni di distanza.
Negli ultimi trent’anni ci hanno raccontato come il modello che governa l’economia mondiale sia inevitabile – there is no alternative – e persino eterno, tanto da far parlare qualcuno di fine della Storia. Eppure abbiamo oggi davanti ai nostri occhi la dimostrazione di quanto questo colosso destinato a durare nei millenni sia in realtà un gigante dai piedi di argilla, o più semplicemente un fenomeno umano come tutti gli altri, che ha avuto un inizio ed è destinato ad avere una fine.
Gli strumenti di prima con cui affrontiamo qualsiasi evento destabilizzante, non ultimo quello del Coronavirus, sono inefficaci e non ci crede più nessuno, nemmeno chi li utilizza. La timidezza dei governi deriva anche da questo, oltre che dal loro nichilismo e dall’incuria verso chi verrà dopo. Vedono la crisi ma non riescono a immaginare un mondo diverso da quello che hanno sempre visto.
Il primo passo per invertire la rotta dovrebbe essere, forse, quello di riconoscere che siamo in un’età di passaggio, dal modello precedente verso uno nuovo, che ancora non è stabilito.
Potrebbe essere anche la catastrofe ambientale, oppure – perché no? – un futuro persino migliore, più desiderabile, possibile.
Al panico da virus corrisponde, infatti, una disattenzione pressoché totale verso il contagio più pericoloso, quello climatico. E però le due cose si tengono insieme e insieme possono offrirci una chiave per affrontare e risolvere i nostri problemi. Facendo meglio le cose, facendone altre, non tornando a un modello che mostra la corda, non solo in giorni come questi.
In Furore si dice: «Forse possiamo cominciare daccapo», ma poi, subito dopo, si aggiunge, anche: «Noi non possiamo cominciare, solo i neonati possono cominciare. Tu e io, beh, noi siamo quello che è stato, la rabbia di un momento e mille immagini. Questo siamo».
Greta lo dice, i grandi d’Europa e d’Italia, sempre che ce ne siano ancora, dovrebbero farlo. Investendo tutto ciò che abbiamo, e anche noi stessi, in un’azione condivisa, con obiettivi ambiziosi, che dia lavoro e speranza a milioni di persone. «Tutto ciò che è nelle vostre possibilità», ha detto Greta. Precisamente. Così. Ora.
Abbiamo le risorse, le tecnologie, forse anche la consapevolezza per iniziare. Subito. Per uscire da un guaio non con una risposta precipitosa, con una mera reazione a ciò che sta accadendo, ma con una serie di scelte impegnative, chiare, da seguire poi con costanza e responsabilità.
In Struzzi! di queste soluzioni a portata di mano ho offerto una rassegna che è peraltro già nota a tutti quanti. Ieri leggevo che si torna a parlare di EuroBond. Che c’è bisogno, proprio ora, di ciò che non si è mai fatto.
Ecco, partiamo da qui. E che questi giorni di riflessione ci servano, per una volta, a capire.
Non dobbiamo tornare alla normalità, perché in quella normalità non c’è proprio niente di normale. Lo avremo capito?
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