Abbiamo detto che dobbiamo spostare l’orizzonte più in là. Nel tempo e anche nello spazio, pensando a quando potremo tornare a muoverci.
Le previsioni più ottimistiche hanno ceduto il passo a scenari più cupi. La serrata che non lo era, gli interventi a metà, il ritardo di una settimana (almeno) con cui sono partiti i provvedimenti, soprattutto in alcune tra le zone più colpite, non hanno portato i risultati sperati e temo che per altri giorni non ne porteranno.
Oggi però Confindustria fa sapere che sì, hanno sottovalutato ma che ora la fase è nuova (!) e si può anche chiudere.
Leggo che gli stessi amministratori del non fermarsi ora chiedono di chiudere uffici, fabbriche, magazzini «non essenziali». Il governo, dice, ci pensa. Temo sia troppo tardi, spero tantissimo di sbagliarmi. La triste vicenda della Val Seriana, focolaio non considerato come tale, è per sineddoche la storia del momento che stiamo attraversando.
La romanticizzazione della quarantena è un privilegio di classe, ho letto su Instagram. Ed è vero, lo dicevamo tempo fa, e la tenuta psicologica collettiva sarà messa a dura prova. Soprattutto per chi non ha mezzi, né metri quadri, né spazio intorno a sé per reggerla. Per chi ha patologie del corpo e della mente, per chi ha dipendenze, anche. E, poi, perché in ogni famiglia è già iniziato il conto dei soldi, dopo quello dei contagiati e quello dei giorni. E fa anche più paura.
Chi lo avrebbe mai detto? Le parole hanno cambiato significato: un tempo – due settimane fa – respingimento era destinato ai migranti, sicurezza era una parola poliziesca, mascherina faceva pensare al Carnevale, le code ci facevamo impazzire e ora ci fanno compagnia, il confine si è chiuso intorno a noi. Anche la primavera è quasi una provocazione.
Devo controllare ogni volta la data, in alto a destra, sullo schermo del computer: oggi è sabato, domani non si va al super.
Insomma, non ci resta che evadere, pensando a ciò che sarà, viaggiare da fermi, un po’ come Salgari, un po’ come quel London strepitoso del Vagabondo delle stelle. Nella speranza che quando usciremo da questa condizione saremo migliori di prima, più consapevoli, più responsabili. Più liberi, anche, in un senso nuovo e diverso.
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