Oggi è qualchedì, è un’ora imprecisata, e tra isole tentatrici e case più o meno vip con confessionale, ci siamo ritrovati in un format tutti quanti noi. Lo siamo diventati, un format. Le conversazioni a distanza, anche con persone che non si sentivano da anni, di cui si erano perse le tracce, vertono ormai solo sulla condizione nella quale ci troviamo. Chissà se divertiranno ancora, quelle trasmissioni in cui le persone sono costrette a una convivenza forzata, in uno spazio limitato. Del resto, a guardare i social, le dirette, le clip, siamo diventati anche tv di noi stessi.
Di sicuro non diverte affatto la danza macabra che prosegue intorno alle attività non essenziali, che risultano ancora aperte, in larghissima misura, nonostante tutti gli appelli alla ragionevolezza e alla cautela. Sono giorni e giorni che lo chiediamo, in tante e tanti. Chiudere militarmente le persone nelle case non ha senso, se continuano a uscire dalle case per andare a lavorare milioni di lavoratori, professionisti, tecnici, rappresentanti e chi più ne ha, Confindustria ne metta.
Ciò che è essenziale, d’altra parte, è un tema filosofico tutt’altro che banale. E non parlo solo dei decreti, delle cose che si sentono, delle polemichette che nemmeno il virus ha saputo fermare.
È essenziale coniugare salute e sicurezza e lavoro. Che il coronavirus almeno ci insegni questo, che non ci siano più “se” e “ma”, deroghe e alibi. Nel cibo, nella produzione, dappertutto. L’ambiente stesso non è un concetto astratto, lo abbiamo capito?
Manca la capacità di fare previsioni, ce ne accorgiamo dolorosamente ora, ma lo sapevamo già. Abbiamo preferito una classe politica non essenziale, appunto, di mitomani che parlano solo del momento presente per un consenso momentaneo, e questo non ha certo aiutato. Continuavano a scendere tutti, e invece dovevamo salire, in termini di consapevolezza, di preparazione, di qualità.
E per questo sono proprio le previsioni a servire. E servirà la tecnologia. E servirà l’intelligenza. E servirà investire su strategie di contenimento del virus. Prepararsi al suo ritorno o all’avvento di altri morbi. E, in generale, fare finalmente i conti con i cambiamenti climatici. Ecco una cosa essenziale. Inderogabile. Necessaria.
Dovremo ripartire e dovremo scegliere il piede giusto, puntare tutto sulla conversione ecologica, sulla ricerca, sull’applicazione civile delle tecnologie di cui siamo già in possesso. Per la mobilità, soprattutto. Per il lavoro a distanza, che non c’è mica bisogno di una pandemia per ridurre i nostri spostamenti non essenziali, appunto. Per avere un sistema più razionale e insieme più protetto. Ora o mai più.
Francesco Bertolini dice che il virus è un “portavoce”. Ha ragione. Aggiungo che questo periodo deve servirci per affrontare altre calamità, che dipendono proprio dai nostri comportamenti. Ecco le attività essenziali dei prossimi tempi, se ne saremo capaci, se avremo fatto tesoro di questa sospensione del tempo, se dalle nostre finestre sapremo guardare il mondo e la società con altri occhi. A volte è nel torpore di queste ore che fa capolino la lucidità. Facciamoci caso.
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