Questa cosa ti fa fare un po’ i conti con te stesso e con quello che hai (o non hai) costruito, mi scrive una cara amica.

Specchio a 360°, questa quarantena, tipo l’Aleph, tutto intorno a te. Dentro ci sei tu. È tutto molto borgesiano, se si pensa anche al Funes dalla memoria infinita, interminabile e insomma distruttiva.

È il giorno della marmotta, solo che la marmotta sei tu.

Topolino, in un colpo di genio, esce in abbinata con «Il manuale delle giovani marmotte». Non è un caso: il manuale per i giorni della marmotta.

Sotto casa è una festa. Tutti fuori.

«Asporti aperti!» è lo slogan veneto, da una settimana a questa parte. Gelati, pizze e caffè. Lo ammetto, me ne sono procurato uno. Una promessa di vita che asporti con te.

In tutto questo il virus ferma incredibilmente la fatturazione elettronica e la compiuta transizione fiscale verso il digitale (non ce la faremo mai). Riabilita la plastica e in generale sembra rinviare qualsiasi intervento sul clima. L’emergenza ci invita a soluzione tampone, come dicevamo. Ed è ‘normale’ che sia così.

È una fotografia impietosa di ciò che siamo, come dimostra il bivacco di manipoli del casalingo disperato a capo della Lega e alla sua ultima – grave – provocazione.

Eppure. Eppure sarebbe proprio questo il momento di orientarci verso un nuovo mondo e di indirizzare i comportamenti verso qualcosa di nuovo che ci eviti la madre di tutte le emergenze, quella climatica.

Aoc spiega molto bene i parallelismi tra l’attuale situazione e quella che incombe.

Ripensavo, ascoltandola, alla corsa degli Struzzi!, che avevo finito di scrivere poco prima della quarantena. Ora passerebbero per runner e sarebbero vissuti con sospetto, ma è ora che gli struzzi, appunto, si muovano. E accelerino. E cambino molte cose.

Abbiamo imparato – perché lo abbiamo imparato, vero? – lo smart work e i movimenti differenziati, abbiamo capito che la tecnologia può essere estesa a scopi sociali e non solo privati e commerciali, abbiamo riflettuto su ciò che è essenziale per noi e per la nostra società, abbiamo compreso che la scienza serve più di quanto ricordassimo, ci affidiamo alla ricerca e per la prima volta nella storia recente è corale la richiesta di programmazione.

La delocalizzazione – ora che siamo delocalizzati in salotto – ci suona ancora più strana e così molti aspetti del processo di produzione, così come è evoluto (o involuto) negli ultimi anni.

Ecco, non perdiamo questo piccolo patrimonio di consapevolezza. L’unica cosa preziosa di questa stagione tanto irreale quanto ahinoi reale. Tutto è più nitido, da casa. E speriamo che i bivacchi e le stronzate ci appaiano d’ora in poi per quello che sono: roba da fascisti.

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