Della figura e soprattutto della persona di Liliana Segre molti aspetti colpiscono chi ha avuto il privilegio e l’emozione di trascorrere del tempo con lei.

Ciò che apprezzo, ogni volta e sempre di più, è la sua “parola”. L’uso che ne fa. Il tono. La puntualità, che chiede ascolto e ottiene immediato rispetto. Ed è ancora più forte, questa precisione – meglio: questa cura – pensando a ciò di cui è testimone e di cui parla.

In un tempo di parole confuse, volgari, forzate, Liliana trova sempre l’espressione più nitida, più potente, più attenta. Sa che dalle parole nascono le ingiustizie e le discriminazioni più violente. E sa che di solito ce ne accorgiamo soltanto quando le cose sono ormai irrecuperabili.

È anche per questa ragione che nelle occasioni in cui ho avuto l’onore di accompagnarla, guardando in platea i volti di chi la ascolta, il suo messaggio mi è parso così potente, autorevole, al di sopra di tutto. E perciò apprezzato dai più giovani, a cui offriamo modelli di bassa se non pessima qualità per poi lamentarci di loro, delle loro reazioni, del loro scarso coinvolgimento e dell’“impegno” che sembra soltanto sfiorarli.

“Nipoti ideali”, li chiama Liliana Segre: per loro e per tutti noi è “nonna ideale”, perché è così che parla a loro e a noi, perché prende sul serio i ragazzini, perché a loro si dedica, come dice di fare con i suoi nipotini, ma anche perché nel suo racconto è lei stessa a tornare “piccola” e con ciò offre loro il loro stesso punto di vista, aprendo i loro occhi su una realtà che nessuno di loro deve trovarsi ad affrontare mai più.

Ci interroghiamo spesso sui rapporti tra le generazioni: Liliana Segre offre una risposta unica, sbalorditiva. Tra le generazioni, verso il futuro, pensando a suo padre Alberto, come ebbe a notare anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella quando la nominò Senatrice a vita: perché per ricordare il dolore e lo scempio di una intera generazione che è stata condannata, è fondamentale che le nuove generazioni sappiano e facciano in modo che tutto ciò non si ripeta, che si resista al rischio – sempre attuale – che tutto si comprometta, si perda, si rovini.

Liliana Segre invita alla “presenza” – parola bellissima – e alla responsabilità senza concedere mai al moralismo, perché è diretta, perché non è equivocabile, perché racconta il disumano ma è sinceramente convinta della voglia (pazza!) di vivere. Sa di non darla vinta ai disegni di morte, di sbaragliare la rassegnazione e la sua più potente alleata, l’indifferenza. Perché l’indifferenza è la rassegnazione applicata a sé, agli altri, al corso delle cose, peggiorata dall’interesse di salvare soltanto se stessi, abbandonando tutti gli altri, tutto il resto. La dignità altrui e infine la propria.

Grazie, Liliana, non sai quanto.

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