Che si fosse arrivati a un esaurimento delle principali forze politiche dell’arco del sedicente centrosinistra ce n’eravamo accorti con le dimissioni ipercritiche di Nicola Zingaretti.
La vicenda romana lo conferma. Il candidato del Pd è quarto nei sondaggi. L’alleanza tanto sbandierata e ritenuta strategica con i 5 stelle non si è concretizzata. Gli stessi 5 stelle fanno acqua e livore da tutte le parti. La figura di Conte scivola ogni giorno di più, anche perché finalmente si può parlare con un minimo di senso critico del suo governo (mi riferisco al secondo, perché già ne aveva fatto uno orrendo).
Il governo Draghi ha consentito di coprire le magagne e di mettere tra parentesi una politica che tra parentesi si era già messa da sola, parlando di alleanze che poi non si fanno, di risultati che poi non arrivano, di svolte che svoltano sì ma sempre sullo stesso solco.
Il sistema elettorale rimane l’orrido Rosatellum, un Porcellum rivisitato, in cui a decidere saranno ancora una volta i capi e non i cittadini.
Anche le cose “minime” come il coprifuoco diventano polemiche demenziali, quelle gigantesche, come la vicenda israelo-palestinese sono banalmente rimosse (il ministro degli Esteri più inconsistente della storia della Repubblica, confermato, lo conferma).
Per non consegnare il Paese alla destra, ci si governa insieme e, nel frattempo, le si apre una strada, anzi un’autostrada, anzi un ponte di Messina (!).
Che, dunque, siamo arrivati al capolinea? Che sia il momento di immaginare – uso questo verbo appositamente, perché tutto questo realismo senza realtà è penoso – qualcosa di diverso.
Per me, da cittadino, la risposta è sì. E si torna sempre alla sostanza, per quanto mi riguarda: clima, progressività, patrimoniale. E salario minimo. E una redistribuzione della ricchezza e delle possibilità che manca da troppo tempo, in un paese spezzato.
È ora di provarci. E c’è chi lo sta facendo, lontano dai riflettori e da tutto ciò che trovate in tv. Pensateci, pensiamoci.
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