È una nuova specialità della cucina politica romana. Le primarie alla chetichella. Una manciata di candidati, la massima frammentazione provocata dagli “unitari”, il convitato di pietra sugli autobus.
Si vota il 20 giugno ma non lo sa quasi nessuno. Meno semo, mejo stamo.
Ora, per punti: se si vuole davvero “liberare” Roma, sarebbe “carino” si tenesse un dibattito tra i candidati che verta proprio sull’argomento: «Liberarsi sì, ma di chi?».
Mi spiego con un aneddoto: quando scoppiò Mafia capitale, nel bagno di un teatro, incrociai per caso Ignazio Marino, allora sindaco, a cui dissi di sciogliere il Consiglio comunale e di ripresentarsi alle elezioni più forte e limpido di prima. Altrimenti avrebbero di lì a poco sciolto lui (Marino può confermare).
Per ragioni di potere, Marino fu in effetti “sciolto” dal notaio dall’allora gruppo dirigente, che poi perse miseramente le elezioni.
In tutti questi anni non si è trovato un candidato che partisse da lontano e costruisse una proposta politica vissuta dalla città.
C’è però l’intruso, quello che in questi anni ha amministrato, che era con Marino in quella fase convulsa, che ha retto un Municipio che sembrava un’isola politica felice, e che si è dato da fare per una candidatura senza etichette ma con parecchie idee. Si chiama Giovanni Caudo.
Votatelo, fate la cauda al gazebo dice ridendo un mio amico. Altrimenti non ci libereremo, mi sa. E vinceranno altri, quelli del potere fine a se stesso. Quelli del notaio (notabili?). Quelli che dovevano abbandonare la politica e non l’hanno fatto mai. Anzi. Sono sempre in prima fila. Abbonati, proprio.
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