Articolo pubblicato su Ossigeno, la rivista di People.
Pare che Meloni e Salvini siano parecchio divisi sull’autonomia regionale, bandiera della Lega dai tempi della devolution e dei referendum separatisti che mette in imbarazzo i post-fascisti di Fratelli d’Italia.
Nella destra estrema che governa il paese, il punto è a che livello si ferma il nazionalismo, se a livello nazionale, appunto, o nelle piccole patrie che ognuno sente più vicine. Lega lombarda, Veneto nazione, indipendenza della Padania, tutto il resto è Meridione.
E così, dopo mesi trascorsi all’insegna di piccole mosse post-elettorali (e quindi ancora elettorali) per blandire un elettorato travolto da anni di retorica populista con un po’ di altra retorica populista, ecco irrompere la politica. Quella noiosa, quella burocratica, quella sulle “cose”, non sulle invenzioni propagandistiche – contanti, rave, attacco alle Ong e via speculando.
Un primo accenno lo si era avuto con le accise, saponetta su cui sono scivolati tutti i leader arrembanti della politica italiana (e non solo a destra, diciamo così). Ora fanno capolino le questioni di fondo. Candidato a far da paciere, l’eterno Berlusconi.
Mentre la destra sbandiera, il Pd sbanda. Perché due dei quattro candidati provengono dalla regione che più ha spinto, a sinistra, per l’autonomia. E non è dato sapere quale sia esattamente la posizione dell’opposizione – anzi, delle opposizioni – su questo progetto di riforma.
Ciò pone un’ultima considerazione: perché la destra si sa dove sta, a cosa mira, quali sono i suoi vessilli. Il problema della sinistra – nelle sue forme moderatissime che ci è dato osservare – è non averli. O averli tutti confusi.
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