A una settimana di distanza, le parole dedicate a Marco in occasione del suo ricordo pubblico.

Buongiorno a Marco Tiberi – lui avrebbe risposto buongiorno a Pippo Civati, era il modo in cui iniziavamo le nostre dirette artigianali che lui non voleva mai fare e che poi faceva benissimo, e questo sarebbe già un motivo per scappare via di qui a gambe levate per il dolore.

Ma è solo uno scherzo che facevamo tra tanti che vengono in mente, quella volta al Pigneto in stato confusionale perché trovavasi troppo lontano dall’Urbe, cosa che peraltro si ripeteva quando lavorava a Prati cioè “fuori città”, e nel conflitto eterno con Milano che spesso mi rimproverava – per lui Milano si intende tutto ciò che è a nord di ponte Milvio –, una foto a Sabaudia sulla spiaggia con Francesca, i pranzi con i ragazzi, Tommaso e Caterina, che rientravano da scuola all’insegna del più naturale degli “aggiungi un posto a tavola”, i viaggi verso posti imprecisati con la Sandero che era immediatamente diventata ovviamente la Sandero luminoso, il terrazzo come buen retiro e come confessionale di 1000 storie di 1000 conversazioni, i libri nel cassetto che mi sono sempre chiesto quanti diavolo di cassetti avesse Marco, i progetti che si moltiplicavano senza quasi mai essere realizzati, Italiano e Mourinho e un giallo monticiano che sono ancora lì, la capacità di procrastinare con classe ed eleganza raffinatissime qualsiasi scadenza, all’insegna del motto rovesciato del perché fare oggi quello che puoi fare domani, la battuta folgorante, l’intuizione che non avevi considerato, il lavoro oscuro, nell’ombra, generoso e snobissimo insieme, perché come scrive in un romanzo “tanto tutto è inutile”, anche se non lo pensava minimamente!, la passione per le questioni e le sfide da condividere, la gioia per le cose che andavano bene e le spallucce quando andavano storte, la cultura politica seconda solo all’analisi sociologica del Festival di Sanremo, uno scatto con Nina, mia figlia, piccola, che a lui si era affezionata quanto me, con lo sguardo da bambino di entrambi.

Potrei parlarvi di quanto sia sempre stato geniale Marco, e colto, e brillante, e fulmineo, e cinico e dolce, e pigro e poi d’un tratto attivissimo
e pieno di intuizioni, e ospitale, e attento. Ma queste cose voi le sapete già e credo lui le troverebbe intollerabili, retoriche, ridondanti. Esagerate, direbbe in romanesco.
Marco era un lampo, come si direbbe con linguaggio preso a prestito da uno dei suoi western.

La cosa che vi vorrei dire, l’unica cosa che conta, è che Marco ha avuto cura di me, come credo di molto altri. Sempre. Da vicino, a distanza, con garbo, con riservatezza, segnalandoti con gentilezza che stavi facendo l’ennesima cazzata ma senza giudicarti mai.

È per questo che nelle ultime interminabili settimane e oggi ancora di più non è immaginabile pensare a quello che è successo. Perché è vero, purtroppo, ma non lo è davvero. Perché una vita non è solo anagrafe, è anche romanzo, come diceva il suo maestro. Perché c’è in quei lampi che sono momenti, parole, espressioni, sguardi, messaggi, quel modo di abbozzare, quel suo sorriso, che si apriva quasi a liberarlo da tutte le sue menate – che se ne è sempre fatte parecchie – e liberava tutti quanti.

Ha sempre odiato certe cose, molte cose, certo che le ha odiate. Le sue idiosincrasie sono per molti di noi proverbiali, marmoree. E ha trovato insopportabili un botto di persone, va detto, e chissà cosa penserebbe di quello che sto dicendo. Ma le persone a cui si è affezionato, le ha sempre “tenute” in modo speciale.

A lui personalmente devo tantissimo, per ragioni che riguardano la nostra amicizia, soprattutto.

E gli devo di aver rinnovato dentro di me una cosa che ha un valore politico altissimo e umano ancora di più. Che da soli non si va da nessuna parte. E che bisogna mettere su una squadra, come quell’armata di malcapitati, in cui tutti mettono a disposizione le loro debolezze prima ancora che il proprio talento. Che non bisogna “essere se stessi”, espressione che lo ha sempre fatto imbestialire, ma cercare di fare qualcosa con gli altri, per essere qualcosa d’altro e di più grande e di più bello.

Una volta ha scritto una cosa:

Per chi vuole una vita migliore.
Per chi ha sbagliato e pensa di meritare un riscatto. Per chi crede in qualcosa di più grande.
Per chi non ne può più di essere soltanto se stesso. Per chi ha talmente poco da poter rischiare tutto.
Unitevi all’armata.

«Non tanta di importanza ha lo giugnere alla meta, ma è lo viaggio che fa contezza, e come lo hai condotto.»

Nel tuo caso in modo magistrale, caro Marco, amico mio.

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