In questi giorni di pioggia, di sconfitta e di ricerca, vale la pena di affidarsi a Massimo Cacciari, Tre icone, Adelphi (Biblioteca minima). Tre opere: Rublëv, Piero della Francesca, de Eyck. E’ soprattutto nel secondo “esercizio di teologia della visione” che Cacciari si esalta, a confronto con il Cristo risorto della Resurrezione di Sansepolcro. Un’immagine di vittoria, certamente, che conserva però nello sguardo del Cristo la morte e l’attesa, in un processo di reformatio e di renovatio, che non si conclude, ma che si dischiude piuttosto ad un’altra venuta e in una prospettiva di trascendenza. Il trionfo del Cristo è solitario – intorno a lui i soldati dormono, come già i discepoli nel Getsemani – e la solitudine del Cristo è trionfante. La figura monumentale fa da contraltare allo sguardo (che sembra oltrepassare chi lo ammira), alle labbra strette, all’umanità, insomma, che Cristo nuovamente ottiene. Immagine di una tragica libertà, appello inascoltato, percorso che ancora deve compiersi: in un’unica espressione, la comprensione di un’assoluta incomprensibilità. Che vale per i soldati, per noi tutti, ma anche per il Cristo stesso. A Sansepolcro, nomen omen, dove Piero è in mostra.

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