Non mi convince la questione settentrionale tout court, né l’esigenza di nordizzare (tradotto: virare a destra) la nostra politica. Credo che ci sia un problema monumentale nei confronti del Nord, questo sì, soprattutto per quanto riguarda la rappresentanza territoriale e più in generale politica nella proposta di governo e nel dibattito parlamentare. Un tema che avevamo affrontato senza alcun successo nell’ambito della presentazione delle liste bloccate nel 2006 e che puntualmente si ripropone. Credo che la società del Nord sia più dinamica e sensibile rispetto ad alcuni temi. Che pretenda più chiarezza e più capacità di decidere. Più certezza che quello che si propone venga realizzato. Mentre scrivo questo, però, mi rendo conto che ciò vale in generale per il Paese e che, quindi, la questione settentrionale è una questione politica nazionale e, potremmo dire, viceversa. La debolezza dei gruppi dirigenti qui dalle nostre parti e la lontananza dalla capitale sono argomenti praticamente ovvi, che non credo di dover ulteriormente indagare. A tutto questo, da qualche giorno, si somma un curioso atteggiamento omeopatico, di assunzione dei temi che la destra si è attribuita (e fin qui potrebbe anche andare) con un punto di vista molto simile a quello della destra (e qui proprio non capisco più). Un’operazione troppo ex abrupto per essere credibile, perché la linearità (stavo per scrivere: la coerenza) è decisiva, in politica. Troppo incerta sotto il profilo della comunicazione (aspetto dal quale siamo ossessionati e che interpretiamo sempre peggio). Troppo estranea alla nostra cultura per essere compresa con serenità dai nostri elettori, fin troppo bistrattati nell’ultimo periodo. Troppo ‘debolista’, soprattutto se pensiamo al vecchio concetto gramsciano di egemonia, studiato in tutto il mondo e praticato in Italia solo da alcuni, a cominciare – proprio così – da Berlusconi. Penati svolta sulla sicurezza con toni drammatici, Pizzetti chiama un vicequestore a fare l’assessore, i gruppi a Palazzo Marino votano in buona fede una delibera molto pesante. Il nuovo segretario regionale dei Ds propone, tra le prime cose del suo mandato, di adottare le impronte digitali per tutti e il servizio civile per ottenere la cittadinanza. Tutto in pochi giorni. Tutto dopo la sconfitta di tre settimane fa. Forse bisognerebbe essere più cauti, ripartire da due vecchi concetti, quello di legalità e quello di cultura – che fa segno all’integrazione, ma anche al rispetto dell’altro attraverso la conoscenza -, affrontando un problema complesso con gli strumenti sofisticati di cui per altro non siamo privi. Aver parlato soprattutto di finanza e di autostrade, a Milano, negli ultimi anni, non è stata, da questo punto di vista, una scelta molto azzeccata. Anzi, possiamo dirlo con serenità, è stato un errore. Mi si dirà: sai solo criticare. E, invece, no. Ho molte cose da dire. Che il problema dell’accesso dei Rom è diventato sempre di più un problema europeo e nazionale, di cui ci si dovrebbe occupare in modo sistematico (da Bruxelles, da Roma, con il contributo di una Regione e di un Comune come quello di Milano che sotto Formigoni e Albertini l’hanno lasciato marcire, il problema, per ritagliare un po’ di spazio alla propria demagogia). Che il problema di separare gli stranieri ‘bravi’ da quelli ‘cattivi’ passa attraverso la concessione ai primi del diritto di voto alle amministrative (una proposta di Gianfranco Fini, che a noi sembra impopolare). Che una Provincia ha dei compiti straordinari per quanto attiene la proposta culturale, la creazione di sedi di incontro e di confronto, la possibilità di individuare percorsi diversi dalla tensione sociale che altre istituzioni fomentano anziché affrontare. Sono cose che non penso da solo, ma che mi vengono dette nelle sezioni, alle feste, dai volontari e dalle persone che credono che questo sia un mondo difficile, ma che le soluzioni vadano ricercate con maggiore responsabilità. E senza diventare uguali alla destra. Nemmeno per vincere. Perché se si diventa uguali alla destra, poi vince la destra.

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