Ho appena finito di leggere un altro libro da mettere in valigia e da portarsi in vacanza. Si tratta de Il fondamentalista riluttante di Mohsin Hamid. E’ la storia di un giannizzero ‘rovesciato’ dei tempi d’oggi, un pakistano che diventa il miglior prototipo dell’americano, laureato a Princeton e businessman di successo, fino all’11 settembre del 2001, che costituisce un punto di svolta decisivo per lui e per la sua bella Erica. Il giannizzero abbandona l’esercito in cui militava, per… E, no, non posso dirvi altro, anche perché il finale di questo libro è a dir poco sensazionale, così come l’impianto narrativo, nel quale il soggetto si rivolge ad un interlocutore americano in un bar di Lahore: un monologo-dialogico assolutamente curioso, nel quale l’interlocutore interviene solo indirettamente e la sua presenza si coglie soltanto nelle numerose precisazioni dell’io narrante. La forza del racconto ne guadagna, perché l’interlocutore occidentale rappresenta perfettamente il lettore a cui Hamid si rivolge. Grazie anche a questo stratagemma, il libro è potente, nel descrivere la fragilità occidentale – ‘intepretata’, potremmo dire, da Erica -, l’instabilità dell’identità e del riconoscimento, la paura che attraversa la vita dell’uomo globalizzato. Alla base di tutto, i fondamenti: quelli delle analisi economiche a cui il protagonista sempre si richiama così come quelli della cultura da cui proveniamo e che ci rende essenzialisti, ancorché riluttanti come vuole il titolo. Non perdetelo. Ne vale la pena.
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