«Fiorenza dentro dalla cerchia antica, ond’ella toglie ancora e terza e nona, si stava in pace, sobria e pudica». Cacciaguida descrive a Dante la città dei tempi che furono, la Firenze felice e la sua moralità. E la nostalgia per qualcosa che non c’è più. Erano questi i versi che riecheggiavano al PalaMandela all’inizio del Congresso di Firenze. Come se qualcosa si fosse rotto e perso per sempre. Ma poi è arrivato Veltroni (e con lui il dantesco: «infin che’l Veltro verrà») con il miglior intervento che abbia mai fatto, a spiegare il tema fondamentale, ovvero “che cos’è la Sinistra” e a quali valori e riferimenti si deve appellare. Un discorso alto e però anche approfondito, nel valutare le questioni della collocazione internazionale del Pd, il tema della laicità e la sfida del futuro. Riformismo e radicalità, passione per il cambiamento, capacità di aprirsi e di includere nel progetto politico altre scuole, altre tradizioni. E un D’Alema preciso e puntuale come sempre (e più del solito caldo e appassionato) ha richiamato Mussi ad un episodio della loro giovinezza e allontanato le preoccupazioni di Angius (anche perché «né pentere e volere insieme puossi, per la contradizion che nol consente»), per aprire un crescendo che è stato celebrato da Anna Finocchiaro, con un intervento bello e dolce e intelligente. Come lei. Che ha voluto incentrare il suo discorso sulla vita democratica del futuro partito, sulla trasparenza della nuova legge elettorale, sulla questione, insomma, della democrazia. Un tema che anch’io credo essere decisivo, esattamente come il momento storico che è stato celebrato a Firenze. La consapevolezza, anche guardando al parallelo romano della Margherita, è che il percorso inizia ora. E le intelligenze e gli entusiasmi dovranno misurarsi con una sfida difficile e grande, che possa cambiare la politica italiana. E a tornar «a riveder le stelle».

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