Fuori dal vaso: la triste vicenda dei phone center in Lombardia

Quando si dice: “farla fuori dal vaso”. Giosuè Frosio, consigliere regionale della Lega, riflette sui bagni dei phone center: «Andiamo sempre a parlare di extracomunitari o quant’altro. Beh, io vi dico una cosa: sotto il profilo sanitario sono contentissimo, osti, che ci siano i vincoli non di due o di tre bagni, cinque! Sapete che loro hanno un modo diverso di rapportarsi al bagno… io non vorrei mai entrare in un bagno frequentato da un egiziano o da un arabo perché non è il mio stile di vita, fortunatamente. Con tre, uno lo riservi ad un povero cristo come me che usa ancora il bagno tradizionalmente». Frosio è il consigliere che durante la votazione della Cascinazza ammise di avere votato per un collega perché era andato in bagno. Lui, per conto suo, ci va «tradizionalmente». Chissà cosa vorrà dire. Non si capisce come faccia quando si trova lontano da casa: in Autogrill, o al bar, chissà come potrà evitare la contaminazione nell’atto stesso della minzione. Problemi suoi. Quello che emerge da queste dichiarazioni pronunciate in sede ufficiale, nell’ambito della discusssione della IV Commissione (di cui vi proponiano una trascrizione artigianale a cura del gruppo Verdi), è che il razzismo non è nemmeno più strisciante. È dichiarato. E si capisce come la questione dei bagni dei phone center, come sospettavamo da tempo, ne nasconde di più insidiose e di più vaste dimensioni. E riguardano la società tutta: dal locale (anche nel senso del gabinetto) al globale.
Di fronte allo sciopero della fame indetto da alcuni gestori di phone center, il Consiglio ha aggiornato la propria discussione a dopo pranzo. Un fatto di per sé significativo. La maggioranza non ha voluto rivedere la posizione espressa in commissione. Non è ammissibile la proroga. Punto. Non è concepibile venire incontro alle esigenze dei tanti operatori che hanno denunciato – anche attraverso la nostra campagna “Telefono casa” – il pericolo che il 90% dei phone center, dei centri di telefonia fissa, cioè, sia costretto alla chiusura. Proprio i difensori della famiglia tradizionale, ha ricordato Arturo Squassina, consigliere Ds, si ostinano a negare che i componenti di famiglie divise dalla lontananza possano parlare tra di loro. Proprio i promotori del libero mercato, i suoi esteti, negano la possibilità agli imprenditori di mettersi in regola, di trovare un equilibrio economico per le loro attività. A ciò si aggiungono forsennati attacchi al Tar che ha recentemente messo in discussione l’applicabilità della legge. Nei bagni dei phone center è in gioco il punto di vista sulla globalizzazione, sui fenomeni migratori (non quelli delle peppole, quelli delle persone, intere popolazioni che si trasferiscono verso il nostro paese), sul tema decisivo dell’integrazione tra le persone che vivono nella nostra Regione.
Penso a quand’ero italiano all’estero, quando ero studente in un paese straniero (come altri in quest’aula con cui ho avuto il piacere di confrontarmi). Non avevo bisogno di andare in bagno, non volevo collegarmi con le centrali di Al Qaeda, volevo telefonare e scrivere a casa, alla mia ragazza, alla mia famiglia.
Chiudere i phone center o sottovalutare la chiusura del 90% del totale è una soluzione facile per il consenso e nello stesso tempo totalmente irresponsabile dal punto di vista politico, perché il problema è forse troppo sofisticato e complesso per il nostro dibattito politico regionale. Il problema è che non stiamo interpretando l’immigrazione, le culture che convivono nel nostro paese, le identità, il pericolo del comunitarismo, le difficoltà di una società complessa e ricca di problemi e di possibilità che non conosciamo e di cui preferiamo non parlare. E il phone center è una metafora significativa di un mondo che cambia, in cui sono in campo relazioni, affetti, pensieri, lontananze e vicinanze, senza che noi in Lombardia sappiamo dire nulla di tutto questo. Abbiamo chiesto la proroga di un anno, perché la norma votata lo scorso anno non sia vissuta come una punizione, ma come un tentativo per risolvere i problemi e non per crearne di nuovi. Solo alcuni, troppo pochi esponenti del centrodestra hanno voluto comprendere il nostro appello. E così, nessuna proroga per i phone center: che chiudano pure. La globalizzazione in Lombardia si discute alla toilette.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti