Misure senza misura: le strane parole dell’inquinamento lombardo

Quando si parla di smog in Lombardia si odono parole arcane. O lontane dal vero significato che dovrebbero avere. Ad esempio, si parla per un anno di ticket d’ingresso a Milano, di pollution charge, di “modello Londra” e poi, al momento della proposta, si ipotizza l’accesso a pagamento di una porzione minima della città (informiamo la giunta di Milano che i giardini di via Palestro, ad esempio, sono già chiusi al traffico). Oppure, pensate al blocco del traffico: innanzitutto, non è un blocco. Viaggiano le auto Euro4, ci sono deroghe a non finire, i controlli sono pochissimi. Lo chiamano ‘padano’, quello del 25, ma è “a macchia di leopardo” e, nelle diverse regioni, sarà concepito in modo diverso. Per non parlare della famosa “cabina di regia”, il ‘tavolo’ a cui siedono la giunta regionale e gli enti locali. Funziona in un modo curioso: la giunta presenta il suo piano. Gli amministratori locali, che non sono quasi mai d’accordo su nulla, si danno fuoco (contribuendo così all’emissione di polveri sottili) e poi le cose vanno avanti così, fino alla successiva convocazione della cabina di regia. Nel frattempo, Formigoni preferisce il genere letterario del proclama, annunciando svolte epocali e monumentali interventi in campo ambientale. Tipo l’idrogeno, una particolare bufala che è passata attraverso un processo di stagionatura lungo un lustro, neanche fosse un Parmigiano: per ora, l’auto a idrogeno la usa solo il presidente. La legge regionale anti-smog, presentata come il provvedimento più importante della storia (Kyoto ci fa un baffo), non ha obiettivi chiari e nessuna clausola, si chiama così, di valutazione. Insomma, il panorama è desolante. Se solo ci dessero retta, di proposte ne abbiamo fatte un trilione. Per ora ci tocca accontentarci di una cabina di regia in cui il regista è uno solo, stabilisce un blocco che non è un blocco, nella regione in cui Milano non è né Londra, né Kyoto, in cui i cittadini parlano una lingua diversa rispetto a quel gergo, tra il burocratese e l’esoterico, che i loro governanti adottano nelle loro irresistibili conferenze stampa: per prendere misure che, di misura, non ne hanno.

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