Per un attimo, questa mattina, centinaia di migliaia di lombardi hanno temuto di essere protagonisti in prima persona dell’evento che da anni tutti si prefigurano: il grande blocco, la paralisi totale della viabilità milanese e regionale. Non il blocco di domenica: quello perenne, da cui è impossibile districarsi, la giungla di veicoli fitta come una foresta pluviale. Bloccata l’autostrada verso Bologna, poi la Est, ferma la A4 verso Torino, il fenomeno si estendeva verso Nord fino a Lissone, verso Seregno, sulla Valassina: chilometri di code e miliardi di ore lavoro buttate via. E, cosa ben più grave, il quasi-panico di non potersi muovere più, di rimanere incastrati tra le auto, in una nube tossica da fine del mondo. Poi, a poco a poco, tutto è tornato come prima. Due ore per fare Monza-Milano, per avere scelto di non prendere il treno, in ragione dei ritardi del treno della sera prima (solita storia: diretto delle 19.05 che anziché arrivare dopo dodici minuti a Monza, dopo dodici minuti parte da Centrale, per accumulare qualche minuto di ritardo anche durante il tragitto). Uno spettacolo dantesco, un ‘girone’ che se non avessi avuto i Franz Ferdinand a palla, non mi sarebbe passato mai. Ci vuole una rivoluzione. Sul serio. Da lunedì me ne occupo.
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