«Sono ai giochi di un parchetto, in centro a Milano. Molto centro e molto Milano». Silvia Ballestra muove dai racconti e dalle storie ascoltate in un parchetto molto milanese per raccontare – nel suo Contro le donne nei secoli dei secoli (il Saggiatore) – l’esperienza delle donne immigrate quale tratto qualificante del dibattito circa la questione femminile nell’Italia di oggi. Il suo è un durissimo, ma sempre lucido sfogo contro la violenza nei confronti delle donne, una violenza spesso dichiarata (che appare nelle cronache giornalistiche) e una più sottile, fatta di sopraffazione, di isolamento e, da parte delle donne stesse, di subalternità. Ballestra, riprendendo Ariel Levy, parla di tomming, come assunzione consapevole e deliberata degli stereotipi che vengono affibbiati, in questo caso, alle donne, senza che le donne si ribellino: anzi, con una loro sostanziale adesione. «Woman is the nigger of the world» dicevano John Lennon e Yoko Ono ed è la condizione che sembra sempre di più affermarsi tra le donne immigrate, tate, badanti o sex worker che siano: un tema su cui la politica e, più in generale, la società italiana dovrebbero interrogarsi con maggiore responsabilità. Nella loro esperienza è esasperata una condizione della donna tutt’altro che liberata e felice, che perpetua sottilmente vecchi (e volgari) cliché di un passato che c’è ancora. E non sembra passare.
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