Primi minuti. Materazzi ingenuamente provoca un rigore che Zidane trasformerà. Ventesimo: Materazzi salta, colpisce di testa e segna. Qualche minuto dopo, ci prova anche Toni. Traversa. La terza (più un palo) di questi mondiali azzurri (per la verità, la quinta, quella fortunata di Zizou e quella senza esito di Trezeguet… ma andiamo con ordine). Nel secondo tempo, il nostro centrocampo scompare. Lippi decide i cambi, abbondantemente prevedibili, togliendo un evanescente Totti e uno stravolto Perrotta per Iaquinta (e ci può stare) e De Rossi (e si capisce meno). Poi, per il solito scampolo di partita, entrerà Alex al posto di un esausto Camoranesi. Toni segna in un fuorigioco millimetrico. Il gol è annullato giustamente. A Zambrotta non viene fischiato un rigore più netto del primo. E poi, quando sembra tutto perduto, il colpo di testa ce lo mette Zidane. Con un gesto inconsulto, un gesto che decide la partita, che frena contro lo sterno di Materazzi l’arrembaggio della Francia e che chiude miseramente la carriera internazionale del migliore giocatore degli ultimi vent’anni. Un gesto insensato, qualsiasi cosa gli abbia detto Materazzi. Ancora lui. Materazzi. Che ha stampato sull’avambraccio – con un errore marchiano, oltretutto – l’unico trofeo, la Coppa Uefa vinta con l’Inter. Il giocatore capace di un’incredibile autorete con l’Empoli che diventa decisivo per i Mondiali e che terrà la mente lucida anche per i rigori, diventando protagonista assoluto di questa partita. Nel frattempo entrano Wiltord e Trezeguet, quelli che ci avevano sistemati in Olanda per gli Europei. E ci si gela il sangue ma i due della zona Cesarini questa volta non sistemano nessuno. Anzi, Trezeguet si incarica addirittura di stampare il rigore sulla traversa. E gli italiani, che avevano già perso tre mondiali tre ai rigori – uno dei quali proprio contro la Francia – li depositano tutti ma proprio tutti nella rete di Barthez (uno dei peggiori portieri di questo Mondiale). Gli ultimi due, quelli più difficili, insieme al primo (grande Pirlo!) li realizzano Del Piero e Grosso, scambiandosi la cronologia delle semifinali. E siamo campioni. Per me, per tanti motivi, questo Mondiale segna un passaggio. L’esaurimento di un ciclo, scandito dalla cabala. Ci rivediamo nel 2018 (di solito ci tocca col Brasile) per perdere e nel 2030 per rivincere, se la regola dei dodici anni ha un senso. Ed è significativo che tutto finisca con una finale zeppa di juventini, praticamente tutta la squadra: Buffon, Zambrotta, Cannavaro, Camoranesi, Del Piero, Thuram, Vieira, Trezeguet e l’ex Zidane (l’arbitro no, questa volta, aggiungerebbe qualcuno). E non poteva che esserci l’errore di Trezeguet e il gol di Alex, a sancire la fine di un’epoca. Un mio amico geniale mi scrive: «Lippi è arrivato lì non perché è bravo, ma perché ce l’ha messo Moggi». Bella battuta, che non risolve però la questione. Con la finale di Berlino, tutti i protagonisti di stasera se ne andranno. Dalla Juventus, intendo dire, per quell’altra vicenda che ha purtroppo riguardato anche Buffon e Cannavaro, sicuramente i nostri due migliori. Chi andrà al Real a scambiare palloni con i Galacticos, chi al Manchester United a giocare contro l’incredibile squadra di Abramovic, che ha sessanta terzini, quarantadue mediani e una decina di centravanti. A Del Piero, no, non capiterà. Dopo Godot, Pinturicchio, l’uccellino, le telefonate, le finali perse e quelle vinte, la lunga storia di un giocatore bistrattato che ha vinto tutto (letteralmente tutto), Alex a settembre farà il borsone per andarsene a giocare contro le superprovinciali, in stadi piccoli, ma sicuramente strapieni, per l’arrivo della nobile decaduta del calcio italiano. E per compagni di squadra avrà ragazzini, a cui spiegare ogni cosa. Di come va il calcio e di come va la vita. Cose dell’altro mondo. In B. Con la Coppa. Solo Del Piero. E, con la Coppa e questi pensieri (forti per chi come me ha la stessa età di chi ha vinto in Germania), si ritorna a un calcio che non c’è più, che ci riporta al 1982 e che ci ricorda Bersani (il cantante, non il ministro): «A cosa servono i palloni incastrati sotto le marmitte? A ricordare quando fuori si giocava tra le 127». Anche i campioni del mondo hanno iniziato così. Tanto tempo fa.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti