I luoghi del sapere ovvero «Grazie signora Moratti, ma abbiamo un altro programma»

Mercoledì 1 febbraio, alle ore 18.00, presso la Libreria Feltrinelli di via Manzoni, 12 a Milano, Andrea Ranieri presenterà il suo «I luoghi del sapere. Idee e proposte per una politica della conoscenza», appena pubblicato da Donzelli. Siete tutti invitati, perché sia a tutti chiara la sostanziale differenza tra la politica dell’Unione e quella della destra, e i tanti progetti che si possono mettere in campo nel mondo della scuola e dell’università, tra i più bistrattati dal governo Berlusconi (leggi Moratti). Ranieri muove dalla sua esperienza, prima nella Cgil, poi nei DS, per raccontarci quel che si può fare, partendo dalle qualità del nostro sistema (poche, ma buone) e dal confronto con altri Paesi, che meglio hanno interpretato le trasformazioni dell’economia e la sfida della competitività (o dell’attrattività, come forse è meglio chiamarla). Come già D’Alema nel suo intervento di Firenze, in occasione della conferenza programmatica dei DS, anche Ranieri sostiene la centralità della cultura e del sapere per il nostro sistema, sempre più fragile e penalizzato da politiche di governo sbagliate o poco convinte (in particolare, per quanto riguarda le risorse e le strategie). Formazione permanente (da accompagnare alla riforma degli ammortizzatori sociali), integrazione tra istruzione e formazione, rilancio dell’istruzione tecnica, spazio a politiche per l’infanzia più avanzate. All’insegna della crescita complessiva, e di una forte attenzione al tema della mobilità sociale, in un’Italia dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre di più, perché si perpetuano le differenze, grazie anche alla collaborazione di ministri che avevano proprio quel mandato quando Berlusconi li scelse, ormai cinque, lunghi, lunghissimi, anni fa. «Un mio amico – scrive Ranieri nelle ultime righe del suo bel saggio, a proposito del tempo perduto e pensando alla sua giovinezza militante – quando qualcuno diceva che la rivoluzione ha tempi lunghi, si consolava "perché così si poteva andare al cinema senza sentirsi più di tanto in colpa". Sarà bene stavolta pensare che più i tempi sono lunghi, più occorre darsi da fare alla svelta».

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