Dopo un mese e mezzo di tensioni, reciproche accuse, insulti a destra e a manca, Formigoni ha aperto formalmente la crisi della sua Giunta. Una crisi iniziata ancor prima del voto di aprile, con la bocciatura del progetto "riformista" (si fa per dire) del presidente e con le prime avvisaglie di una spaccatura politica sempre più forte, tra la componente formigoniana, quella più fedele al premier e, ovviamente, la Lega, vera protagonista dell’attacco alla presidenza. Dal giorno delle elezioni sono passati sei mesi e l’immagine di Formigoni che rinvia per l’ennesima volta l’approvazione dei documenti di indirizzo politico ed economico-finanziario, tra gli applausi liberatori e involontariamente autoironici di Forza Italia e il gelo della Lega, è – mi pare – una cartolina da inviare a tutti gli elettori lombardi, per avanzare finalmente un’alternativa di governo credibile che si prenda cura della Lombardia, in un momento molto delicato per la nostra Regione. Cè parlava di logica di potere, descrivendo quello che aveva trovato nella sanità lombarda. Un’accusa pesante che aleggia sulle trattative frenetiche per trovare una soluzione ad una crisi politica che di soluzioni non ne ha. E che verrà risolta, possiamo esserne certi, con il ricorso a pratiche antiche e sempre rinnovate da un ceto politico che da sempre le adotta: rimpasti, toto-assessori, ricatti e veti incrociati. Si scambieranno le poltrone, mentre i lombardi, dal divano di casa loro, assisteranno all’ennesimo spettacolo triste di una delle principali regioni del pianeta che discute chi ha ragione tra Cè e Abelli. Per scoprire, speriamo presto, che non ce l’ha nessuno dei due.
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