Ci pensavo leggendo di tumulti in aula, proiettili attribuiti al Presidente della Repubblica, gestacci e cartelli, proteste veementi. Tutte a cura di un partito che ha governato il Paese e quattro importanti regioni (le uniche dove sia, per ovvi motivi, presente) negli ultimi anni. Con i risultati straordinari che ormai conosciamo e che potremo apprezzare ogni giorno di più nei mesi a venire.
E pensavo che è anche questione di rumore. E di tono.
E pensavo, insieme, ai numerosi paradossi che ci hanno accompagnato in tutti questi anni. Praticamente da sempre.
Perché in questi anni di populismo spinto e di sloganismo rapido e contundente, i cittadini, che avrebbero dovuto essere blanditi da proposte così vicine al loro sentire (anzi, come si è detto per anni, alla loro pancia), e così facili da comprendere (!), si sono in realtà profondamente allontanati dalla politica.
Perché a tutti era richiesto un tono forzato, un dar sulla voce, una continua interruzione del discorso altrui. Che nessun arbitro – soprattutto tra quelli televisivi – ha mai saputo (e in alcuni casi) voluto gestire. E quasi nessun politico ha mai davvero voluto contrastare (e i pochi che l’hanno fatto sono stati rimproverati dai loro stessi consiglieri). Perché bisognava ‘picchiare’. Con il risultato che, nonostante tutto fosse funzionale allo share, lo stesso share si è progressivamente abbassato, in una proporzione curiosamente inversa allo spread che in queste settimane così tanto ci allarma.
Alzare la voce, insomma, abbassa il livello dell’analisi e della proposta, della consapevolezza e della responsabilità del ruolo che si ricopre.
Chi ha ragioni profonde, ha voce della stessa qualità. Mentre chi ripete le stesse cose con insistenza maniacale, colpisce l’immaginario, certamente, ma finisce per ottunderlo. E, alzando ogni giorno di più la voce, porta ad una confusione in cui è difficile distinguere le questioni, anche quelle più banali, che si sviluppano all’interno del nostro dibattito pubblico.
La curva dei decibel cresceva, quella dei risultati tendeva a zero (ormai siamo ai numeri negativi, com’è tristemente noto). E le promesse reiterate (il rumore si misurava in bel, queste ultime in bal) perdevano definitivamente consistenza.
Ricordiamocelo, se possibile, anche per la prossima, imminente campagna elettorale. Perché la prossima volta ci piacerebbe vedere un’altra politica.
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