Giorgio Bocca ritorna sulle sue montagne. In sua memoria, un 25 aprile di qualche tempo fa e il suo libro più bello:
25 aprile. L’alba. Una canzone di Jannacci. I ranuncoli di Giorgio Bocca e dei suoi anni della neve e del fuoco. Quando vide, sulle montagne partigiane, la «fioritura improvvisa contemporanea di milioni di ranuncoli». Come scrive ne Il provinciale (ripubblicato in questi giorni da Feltrinelli): «Ti svegli che sta spuntando il sole, fai scaldare il caffè d’orzo, prepari il sacco e le armi, pensi alle ore di cammino che devi fare per arrivare ai distaccamenti, ti avvii e nel crepuscolo non te ne accorgi perché sei preso dai tuoi pensieri e guardi solo dove metti i piedi salendo per il sentiero, ma poi alzi lo sguardo e non ci credi, tutti i prati sono una distesa d’oro, milioni di corolle d’oro sono sbocciate nello stesso mattino, alla stessa ora, sei il testimone di un miracolo della natura nell’aria fresco-tiepida, senti il conforto della vita che continua, che vince, che risorge». Ieri come oggi. E lo stesso Bocca ammette di non averlo più visto, questo spettacolo. Perché ora, alla mattina, dorme. Anche di questo si tratta, quando si parla di democrazia. Buon 25 aprile.
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