Cerchiamo di rompere lo schema, di cambiare punto di vista, di rovesciare i luoghi comuni.
Proviamoci, almeno per una volta.
Proviamo ad andare al di là delle questioni interne al Pd, a cui hanno risposto i fatti: non andare alla manifestazione della Fiom perché c’erano i No Tav, per dirne una soltanto, si è rivelata una motivazione del tutto infondata (eufemismo), perché è stata una manifestazione tutta incentrata sulla questione della democrazia e della rappresentanza. Nel lavoro e non solo. E l’intervento dal palco, articolato e ragionevole, è stato interpretato da un amministratore locale iscritto al Pd.
Sarebbe stato più opportuno che chi ci voleva andare, ci andasse, perché del modello danese, per ora, abbiamo ripreso solo i dubbi amletici.
Ora, da tempo leggiamo su tutti i giornali che c’è la crisi della politica. Che la politica non riesce a governare i processi. Che la globalizzazione ha superato di slancio gli equilibri interni a ogni Paese. Che si fatica a restituire forma e dignità ai partiti. Che i cittadini non si fidano. Che la maggior parte delle persone fa politica fuori dai partiti. Che dobbiamo ascoltare la società civile (civilissima!). Che i movimenti spesso capiscono le cose prima degli altri.
Editoriali a profusione e convegni dottissimi. E allora oggi la manifestazione dei «pericolosi metalmeccanici» (secondo l’autodefinizione di Landini) sarebbe stata un’ottima occasione per cercare di capire, per interrogarsi sui limiti della politica istituzionale, per ascoltare le parole, espresse in modo democratico e responsabile, di un conflitto sociale che in questo Paese c’è, anche se spesso è negato, correndo pericoli ben maggiori di chi prova a riconoscerne qualità, proporzioni e senso politico.
Sarebbe stato utile ascoltare prima di commentare, liquidando questa imponente manifestazione come se si trattasse di una parata contro il governo o contro il Pd.
Sarebbe stato utile (semel in anno) aprire le finestre e le porte del Palazzo, per comprendere che non si risolve tutto in una prospettiva interna al mondo della politica istituzionale.
Con me c’erano due amici, alla manifestazione, particolarmente diversi per cultura politica, uno più a sinistra, nel senso tradizionale del termine, l’altro più liberale e nuovo a questo tipo di esperienze. Eravamo tutti e tre curiosi di capire, e interessati ad ascoltare, e abbiamo incontrato decine di elettori del Pd, contestualmente iscritti al sindacato (Fiom o Cgil) che ci chiedevano di parlare, di discutere, di elaborare una politica che li rappresentasse.
C’era Giovanni Barozzino, uno dei tre operai di Melfi – che ho avuto il piacere di conoscere una sera d’estate, a Matera – che dal palco citava, con quel suo atteggiamento mite, e proprio a questo proposito, Enrico Berlinguer. C’era il comizio di Maurizio Landini, che proprio sul tema della rappresentanza insisteva in più di un suo passaggio.
C’erano molti simboli di un secolo fa, in piazza, è vero. E cose che non funzionano più, a mio modo di vedere. Ma c’era la questione fondamentale di questi nostri tempi difficili. La questione della democrazia e della rappresentanza. Del dove vanno a finire i nostri diritti. E i nostri soldi. Di come ripensare un patto sociale che si sta sbilanciando sempre di più, rendendo difficile la navigazione, che infatti si riduce ad essere una navigazione a vista.
E lo stesso Landini, a un certo punto, ha chiesto una cosa precisa: non che la politica istituzionale si schierasse con la Fiom, ma che prestasse attenzione alla dignità costituzionale delle sue rivendicazioni. E la rispettasse. Come mi ero augurato accadesse, nei giorni scorsi.
Consiglierei a tutti di guardare le cose non dal punto di vista nostro e delle nostre teorie, ma con lo sguardo dei cittadini e dei lavoratori. Sempre. E di provare a ripensare alla politica muovendo dal fuori, perché il dentro si sta riducendo ogni giorno di più.
Sapendo che le risposte che la Fiom si dà possono anche non convincere, ma le domande ci stanno tutte. E compito di un partito di centrosinistra è quello di individuare una politica che dia quelle risposte. Dovrebbe saper rispondere a Emanuele Toscano, ad esempio, che ha parlato con grande precisione di precarietà. Dovrebbe saper rispondere anche sulla Tav e Bersani, proprio oggi, diceva cose che sostengo da tempo, rispetto ad alcuni dubbi sul «come» quest’opera è stata concepita e alle misure con cui va nuovamente articolata. Prima, utilissima concessione del segretario del Pd a chi da anni lo ripete.
Per il resto, non è che la partecipazione a una manifestazione come quella di oggi debba far cambiare posizione: a chi ne ha una, però, perché mi pare che molte incertezze siano determinate proprio dalla mancanza di un profilo netto da parte nostra. E più gli altri ce l’hanno, un profilo, più noi, nel confronto, andiamo in difficoltà.
Per quanto mi riguarda, e lo ripeto, sono convinto che il contratto unico alla Boeri-Garibaldi sia un’ottima soluzione per l’ingresso nel mondo del lavoro, che l’articolo 18 non debba essere modificato, che l’estensione di un sussidio universale di disoccupazione sia necessario (anche con una revisione di alcuni strumenti eccessivamente estensivi della cassa integrazione), che la riforma delle pensioni andasse (e vada) accompagnata da un fondo per i giovani che in questi anni hanno ‘contribuito’ pochissimo alla propria pensione (lo ha detto oggi Landini, lo abbiamo detto, qualche mese fa, in quella piazza di Bologna, in cui c’erano le lavoratrici dell’Omsa e Pietro Modiano, per dire). Che il reddito minimo di cittadinanza in Italia non sia attuale, come scrivevo giorni fa, ma che sia una di quelle cose che l’Europa non ci chiede ma, quantomeno, ci suggerisce come scenario per i prossimi anni: e il reddito non sono solo ‘soldi’, ma anche servizi e opportunità, per capirci. Che le relazioni sindacali debbano cambiare, ma che ci vuole la politica per farlo. E che la politica, per farlo, se ne debba occupare. Che la contrattazione decentrata può servire moltissimo, ma che le linee di un contratto nazionale non possano essere tracciate con la matita. Che non si discriminano i lavoratori, infine, sulla base delle loro scelte sindacali. Mai.
E che ci siano tante cose di cui parlare, dalla ricerca alla svolta ecologica, di cui oggi si è parlato, e anche noi dovremmo farlo più spesso.
Insomma, proviamo a guardare oltre, come invitava a fare una nostra campagna. Per ribadire, come mi ripete spesso Carlo Monguzzi, che non si volta chi a stella è fiso.
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