C'è un vortice di proposte, intorno alla madre di tutte le manovre. C'è chi dice tolgo di qui, metto di là, chi se la prende con chi deve andare in pensione, chi con i piccoli Comuni, chi con le Province, chi spiega che ci vuole la patrimoniale ma solo un po' e una tantum, chi che bisogna tassare i soliti, chi che bisogna cercare gli insoliti, ma poi non ci crede più di tanto, che bisogna aumentare l'Iva, prima ancora di preoccuparsi che l'Iva sia pagata tutta.
Quello che manca è un'idea di società e un progetto di Paese. Nessuno sembra voler capire che la patrimoniale non è un'eccezione punitiva, ma può diventare la regola che cambia il paese: dall'immobile al mobile, dalle tasse sul lavoro e sull'impresa a quelle sui patrimoni, appunto. Perché in questo Paese c'è una questione salariale, da affrontare (con numerosi punti di Pil che hanno abbandonato gli stipendi verso i profitti, quando le cose andavano bene). Perché c'è l'economia a cui ridare fiato (dopo anni in cui il tema non ha appassionato nessuno, pare). Perché c'è un sistema da ripensare, a partire dalla formazione, investendo qualche risorsa, però.
Che l'evasione fiscale si può contrastare e che deve essere una priorità, perché tutto il resto sono piccoli, piccolissimi interventi. E l'unica cosa mostruosa come l'evasione, in questo Paese, è, guarda caso, il debito pubblico. Che l'evasione si può affrontare in molti modi, con la tracciabilità, da una parte, e con la deducibilità di alcune voci (soprattutto domestiche, soprattutto quotidiane), dall'altra. In uno sforzo che ci richiami alla partecipazione, da più parti invocata, e al civismo, in alcune parti anche (addirittura!) frequentato.
Che poi i costi della politica si devono ridimensionare, certo, però bisogna farlo, accidenti, perché sta diventando una barzelletta. Che bisogna organizzare diversamente la distribuzione dei poteri e delle funzioni nelle articolazioni dello Stato, anche, per dare più potere ai piccoli Comuni (ho detto piccoli, non piccolissimi) e per dare più trasparenza all'iter burocratico e decisionale (che va tracciato, sì, anche quello).
E che anche le pensioni (il tempo e la dote, per dirla con Dante), in questo senso, vanno riviste, alla luce però di un progetto, che tenga insieme tante variabili, a cominciare da quella della riforma degli ammortizzatori e della possibilità che anche per i giovanissimi ci sia una continuità contributiva che adesso si sognano (la categoria, per loro, anche in questa manovra è quella dell'incubo).
Perché ci sono numeri più politici di altri. Che hanno una valenza sociale che si nasconde tra tutti quegli zeri (e non sto parlando, con questo, dei protagonisti politici attuali).
C'è qualcuno in Italia disposto a raccontarla così, la questione? C'è qualcuno disposto a uno sforzo personale e collettivo, per i prossimi mesi, che cambi le cose sul serio? C'è qualcuno che abbia la voglia e la pazienza di spiegare la complessità delle cose, di discuterne con i cittadini e di chiedere loro di mobilitarsi non per questa o quella cose, ma per se stessi, per il proprio futuro? Di dirci «perché» si prendono le decisioni e non solo «come», in quel modo confuso e impreciso a cui siamo abituati da tempo immemore?
Questo mi pare sia il punto. E la matrice di tutte le questioni politiche così ampiamente dibattute e così scarsamente comprese. Ci proviamo?
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