Vince Hollande, e cambiano un bel po’ le cose in Europa. E, forse, penserà qualcuno, anche in Italia, in un’analogia fin troppo facile che potrebbe addirittura spingere il segretario nazionale del Pd – l’Hollande di Bettola – a rompere gli indugi e a candidarsi.

Festeggiamo, dunque, il cambiamento in Francia, come un fatto importante, soprattutto per le ricadute che avrà sulla vita di ciascuno di noi e per la speranza di cambiare nel suo complesso la politica europea.

E però noi siamo un po’ a metà strada, tra la Francia e la Grecia. Il dato di quest’ultima non è ancora ufficiale: le percentuali che ci arrivano – mi fa notare Simona Guerra – al momento danno in forte aumento chi non ha sostenuto la manovra economica, ma anzi, chi a sinistra si è mosso contro di essa, la sinistra radicale che guadagna quasi il 12% rispetto alle ultime elezioni, nel 2009: sinistra radicale che supera, di slancio, la sinistra moderata e di governo. Dall’altra parte, notevole (e inquietante) l’affermazione dell’estrema destra, che guadagna il 6.55%.

I partiti al centro, sia di centro destra sia di centro sinistra, che hanno appoggiato la manovra economica, non hanno una maggioranza e il Parlamento si trova frammentato con numeri poco facili da gestire. In particolare, Pasok sembra aver perso, al momento, il 30% dei voti.

Ecco. Leggiamo i dati. E cerchiamo di capire. Perché guardiamo con speranza alla Francia, ma con preoccupazione alla Grecia.

Ed è più importante la Francia, per ovvi motivi, ma chissà perché penso che ora noi – sotto il profilo elettorale e degli assetti di governo e delle modalità di gestire la transizione – assomigliamo un po’ più alla Grecia che alla Francia.

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