Come sapete, è una proposta a cui tengo molto e di cui parlo, anche grazie a Ernesto Ruffini, nelle 10 cose.
In alcuni casi, però, la riduzione del contante è una necessità, un obbligo, direi.
Una vita in contanti
L’idea di un Daccò-portafoglio si era affacciata già all’inizio, visto che 70 milioni (l’equivalente dell’intera maxitangente Enimont per tutto il pentapartito negli anni di Mani pulite) sono una cifra spropositata, incompatibile solo con una tangente, e superiore persino alle parcelle che neppure i più quotati avvocati d’affari strappano alle multinazionali per business da capogiro. Ora l’impressione di un Daccò non tanto terminale di una singola tangente, quanto «borsellino della spesa» per persone o per movimenti che vogliano distanziare da sé la pattuizione e il godimento di accordi corruttivi e di illecite fonti di finanziamento, si rafforza adesso che l’esame delle sue movimentazioni finanziarie rivela che Daccò negli anni Duemila ha maneggiato in contanti qualcosa come 10 milioni di euro, che dunque per definizione non si può sapere a chi siano andati e per le esigenze di chi siano stati spesi.
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