Paolo (L’Aquila) li definisce così.
Erano, i priMaya, un antico popolo dell’Appennino, riunitosi nel 2007, in una grande giornata di partecipazione democratica, un rito di catarsi (nelle intenzioni la clamorosa cerimonia doveva cancellare antichi soprusi, come l’eliminazione di un antico e bonario capo religioso, ucciso una volta e successivamente ri-ucciso), con la prospettiva di durare qualche secolo.
Le cose, purtroppo, non andarono esattamente così. I Primaya ‘persero’ tutte le successive edizioni, e le loro longeve e irriducibili guide si arroccarono sempre di più, su un colle di Roma creato appositamente: l’Autoreferenziale.
Giorno dopo giorno, dichiarazione dopo dichiarazione, nel 2012 i Primaya rischiarono l’estinzione, come qualcuno tra loro aveva previsto e altri, proprio quei sacerdoti anziani organizzati in corrente, avevano deliberatamente programmato.
I Primaya si affidarono a tutti, pur di perdere (com’era da sempre tradizione) e di conservare il loro potere da sofisticatissimi sconfitti: scesero a patti con gli uomini venuti dal Centro della Terra, eliminarono tutti i mancini, trucidarono i giovani e meno giovani che si avvicinavano anche solo per bussare alle porte dell’eburneo palazzo, realizzato in forma di piramide per non equivocarsi circa il concetto di gerarchia.
Qualche mese prima erano apparse in cielo cinque nuove stelle, ma i Primaya finsero di non vederle, scaricando ogni colpa sugli strumenti di misurazione e stigmatizzando l’illusione della tribù dei populisti.
E in un lungo autunno decisero di non tenere più i loro riti. E le persone intorno a loro, sempre più amareggiate, non li videro più: i Primaya erano diventati irriconoscibili.
Non si estinsero, dunque: sarebbe stato troppo coraggioso da parte loro.
Si indistinsero, insomma.
Scomparvero, in una notte di ottobre, senza nemmeno rendersene conto, anche perché pensavano di trovarsi nel bel mezzo di una non-sconfitta o di un pareggio o (pensate!) di una quasi vittoria.
Nessuno li poteva avvisare, perché i più avveduti erano già salpati, verso le sponde di un mare lontano.
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