Paolo Borsellino, che non usava computer, non aveva diari segreti come invece ne aveva Falcone, non faceva confidenze ai colleghi e nemmeno alla famiglia, lavorava – per i suoi appuntamenti – con due agende da scrivania, grossomodo formato A4, omaggio annuale dell’Arma dei carabinieri; una, quella grigia, è stata ritrovata nella borsa posta sul sedile posteriore della Fiat Croma da cui era sceso per andare a suonare il citofono in via D’Amelio. L’altra, quella rossa, no. E su quella rossa è cresciuta una leggenda. “Borsellino non se ne separava mai”, su quella scriveva le sue considerazioni più private, i suoi segreti. Dove è finita? Nella borsa non c’è. Quindi, qualcuno deve averla rubata. E chi? Ovviamente un pezzo dello stato, la mafia non ne aveva la possibilità. Corollario: quel pezzo dello stato sapeva dell’agenda ed era pronto, nei minuti seguenti alla bomba, ad appropriarsi dei suoi segreti. Che cosa c’era, nell’agenda rossa? Tutto. Praticamente la “scatola nera” della Prima repubblica. Qualcuno ancora adesso la possiede? O è stata distrutta? Alimenta il ricatto? O è il nuovo santo Graal?

Enrico Deaglio, Il vile agguato. Chi ha ucciso Paolo Borsellino, una storia di orrore e menzogna, Feltrinelli 2012, pp. 93-94.

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