No, non credo si sia capito: Formigoni non si deve dimettere perché gli è arrivato un avviso di garanzia, due giorni fa, o perché ora è coindagato il coinquilino, ma perché sono emerse molte vicende esecrabili nel modo di concepire le modalità stesse del governo (potere!) regionale, in almeno cinque ‘discipline’ diverse.
E si deve dimettere per quello che è accaduto in questi mesi, in cui non una parola è stata spesa per valutare criticamente quanto sta succedendo in Regione Lombardia, all’insegna di un motto che sembra attraversare tutte le sue prese di posizione: la legalità non è parte della politica, la politica ne può fare a meno. Della legalità si occupa la magistratura, che lo fa, per altro, sulla base di intenti meramente complottistici.
Si scorge, dietro questo fiume di dichiarazioni e di prese di parola, una forma di curioso giustizialismo, rovesciato, certamente, ma pur sempre di giustizialismo si tratta. Perché il punto non sono gli avvisi di garanzia, prima negati, poi frutto di una trama occulta (come già le firme, il caso Minetti, gli arresti di Nicoli e Ponzoni, l’indagine su Boni, forse lo stesso caso Penati, il suo avversario unito da un destino in tutto simile al suo), poi denunciati, poi minimizzati, ma una sensazione che accompagna tutti quanti, da mesi, e che riguarda la credibilità, la trasparenza e la lealtà di un sistema che si sono perse, irrimediabilmente, dalle cave alle cliniche, dalle bonifiche ai piani regolatori.
Dal Formigoni silenzioso, che non sapeva e non si accorgeva (dalle metafore evangeliche al «non sono nemmeno indagato», come mi ha urlato in aula), siamo passati al Formigoni che attacca, che la sa lunga e che rilancia se stesso fino alla fine dei tempi. E invece si doveva fermare prima, ben prima, e riflettere sui danni che l’epopea regionale sta provocando alla politica, al rapporto fiduciario tra elettori ed eletti e alla dignità delle istituzioni.
Ora non può più fermarsi: accelererà ancora. E proverà ad attraversare la stagione delle elezioni politiche, con gli alleati della Lega al proprio fianco, perché – arrivati a questo punto, e non avendo posto condizioni prima, ben prima – non possono fare altro nemmeno loro. All’insegna di un rinnovamento che non c’è e di una traiettoria che tutti conoscono e che nessuno vuole però interrompere. Perché, con tutta probabilità, non può farlo. Non più.
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