La crisi sociale che stiamo attraversando, tutt’altro che risolta, rende ancora più necessario e urgente ricostruire un nuovo sistema di welfare, alla fine del ventennio formigoniano.
Il sistema di welfare lombardo attuale è infatti inadeguato, inefficace, spesso iniquo.
Prima di tutto perché si fonda sulla logica delle prestazioni: per ogni problema, una risposta più o meno specialistica. Serve al contrario un cambio di paradigma profondo: un welfare di territorio perché nei territori vanno costruite le reti per intercettare e rispondere ai bisogni. Un welfare che sia capace di integrare sociale e sanitario, di prendersi cura delle persone e non delle loro singole patologie o fragilità, che avvicini le risorse ai bisogni e capace di ricomporre le risorse investite nella cura, quelle pubbliche (il 25%) e quelle private (il 75%). Un welfare che ricomponga servizi, famiglie e istituzioni: oggi le risposte sono spesso frammentate e la capacità di regia pubblica piuttosto limitata.
In secondo luogo perché si tratta di un welfare residuale e, spesso, meramente assistenziale. Il nostro sistema abbatte di pochissimo la povertà e si limita ad un approccio frammentato, di stampo emergenziale e risarcitorio, per lo più indirizzato alla grave emarginazione. Intercetta poco i fenomeni di precarizzazione e vulnerabilità ed è debole nel promuovere interventi promozionali e universalistici, pur investendo cifre non trascurabili (in Lombardia nel 2010 sono stati stanziati complessivamente 80 milioni per le famiglie in condizioni di difficoltà economica).
La povertà è un fenomeno multidimensionale che non può essere affrontato solo da un punto di vista materiale. Per essere efficaci, occorre un approccio personalizzato e differenziato.
La nostra regione può promuovere in tal senso una vera, nuova, sperimentazione: il Reddito di Autonomia (RDA), proposta rilanciata da Prospettive sociali e sanitarie qualche mese fa.
Una misura che accompagna al trasferimento monetario interventi personalizzati, attivando percorsi di emancipazione e affrancamento, soprattutto durante le fasi di “transizione biografica”, quando i rischi sono maggiori.
Una misura che responsabilizza i soggetti, valorizza l’istruzione e la formazione, richiedendo il rispetto di alcune condizioni. Si tratta di scegliere un territorio, attuare la sperimentazione, valutarne i risultati per poi procedere alla sua introduzione su base strutturale.
I dati del rapporto Caritas sulla povertà confermano questa analisi. A preoccupare, infatti, non è solo l’aumento delle famiglie in stato di povertà, ma l’aumento drammatico della cronicità, arrivato al 40%. In quest’ottica non si tratta solo di investire (non spendere) di più nel sociale, ma di farlo meglio.
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