Ora, mi pare che la situazione sia tornata alla casellina di partenza. Abbiamo perso un po’ di tempo (il «fate presto» sembra diventato un saggio «fate tardi»), bruciato l’unica occasione di formare un governo politico che non fosse preso a pallonate dagli elettori, avviato una discussione che passa, nella conversazione, dal minimalismo più totale e precario della prorogatio alle riforme costituzionali più impegnative e ambiziose.
Siccome c’è parecchia confusione, la mia proposta è che tutti quelli che in Parlamento non sono saggi, ora si muovano. Anche perché sono lì a fare qualcosa. O dovrebbero esserlo.
E hanno due cose soprattutto da fare. Eleggere un presidente della Repubblica di alto profilo nazionale e internazionale, al di là delle convenienze e indicazioni di partito (o, peggio, di corrente) e senza farsi dare i nomi da chicchessia.
E, in secondo luogo, riprendere i fili di un ragionamento che si è interrotto immediatamente, quello che riprendemmo anche qui, con il grande appello. E che non abbiamo certo dimenticato.
Senza disperderci in mille rivoli, senza declinare gli «ottanta volte otto» punti (che per molti sono finiti nel dimenticatoio, e dispiace), senza presentare a ripetizione proposte di legge su tutto lo scibile umano, ma concentrandosi su due o tre cose da fare che diano voce al cambiamento. E diano un segnale agli elettori.
Che diventino legge, se ci saranno le condizioni per farlo, che aprano a un governo del cambiamento, se ancora qualcuno ci crede, che indichino la strada della nuova campagna elettorale che comunque sembra incombere.
Due esempi: la legge sui finanziamenti alla politica, che Walter Tocci ha avuto il merito di promuovere e che mi sono permesso di ‘emendare’ qui, è pronta. Lo stesso vale per la legge di Pietro Grasso sulla corruzione, sulla quale abbiamo due o tre proposte da fare e che faremo nelle prossime ore.
Presidente e cambiamento sono le uniche prospettive in cui muoversi. Tutto il resto non è noia, è tempo che si allunga e si attorciglia su se stesso.
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