Chissà perché ma un po’ me l’aspettavo: il Pd, mentre apre alle larghe (e per ora vaghissime) intese, si chiude al proprio interno.
L’assemblea nazionale, eletta nel 2009, voterà un «reggente» (le parole sono importanti), che potrebbe essere Guglielmo Epifani o, forse, Gianni Cuperlo (che a me, personalmente, piacerebbe molto di più).
Il Congresso slitterà a ottobre e si terrà tra i soli iscritti al Pd, senza più quell’apertura di senso (le larghe intese con i cittadini) che le primarie rappresentano (o rappresentavano).
Pare che siano d’accordo tutti: Matteo Renzi vuole separare la figura del segretario da quella del premier (che in effetti c’è, e si chiama Enrico Letta) e agli ex-Ds (perché si ragiona ancora così, se non lo avete capito) spetta una sorta di riparazione, perché al governo di sinistra laica ce n’è pochissima.
Il problema è che una simile impostazione cambia completamente l’assetto e il profilo del Pd. Invece di ripartire dall’albo degli elettori, una base elettorale ampia che si può rinnovare con poca fatica, si ritorna all’antica tessera. Che di per sé non sarebbe un problema, se non desse adito alle dinamiche che conosciamo benissimo, alle «filiere» e alle «cordate» che si sviluppano a ogni congresso in tutto il Paese.
L’inversione a U di questi giorni sta per essere completata: archiviata la coalizione, ‘dimenticati’ gli elettori delle primarie, stigmatizzati gli stessi parlamentari eletti con le primarie (definiti «indisciplinati» da Enrico Rossi, ieri), si pensa a un congresso chiuso, in cui si scelga un leader funzionale al governo Letta e alla eventuale candidatura di Renzi per le prossime elezioni.
C’è solo un piccolo particolare: se le elezioni non sono prossime, com’è parso di capire ascoltando Letta ieri, non si capisce bene perché Renzi debba abbandonare uno dei suoi cavalli di battaglia (le primarie e l’apertura che portano con sé) per quello che sembra essere solo un calcolo tattico, che potrebbe tra l’altro rivelarsi fallace. D’altra parte, non si capisce perché il Pd, che avrebbe bisogno di tutt’altra iniezione di energie e di partecipazione, debba scegliere la strada della chiusura e della conservazione di se stesso. O forse lo si capisce benissimo.
Sono domande che di per sé valgono un Congresso e che è giusto farsi ora. Nella speranza che qualcuno voglia rendersi conto di quanto sta accadendo tra i nostri elettori. E nella sinistra italiana: non quella burocratica che sappiamo interpretare benissimo, no, quella culturale e sociale, che da queste due settimane è uscita letteralmente devastata. Sempre che l’argomento ancora ci interessi, eh.
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