Christian Caliandro ha scritto un libro intero (Italia revolution, Bompiani) in cui descrive la rivoluzione in campo culturale che da anni – con efficacia di molto minore – sto cercando di descrivere in ambito politico.
Il libro finisce così (Christian, perdonami). Tutto quello che c’è prima contribuisce a spiegare come si può fare (con strumenti vecchi e schemi nuovi, all’italiana – nel senso buono -, insomma):
Oggi non solo la realtà può essere trasformata dall’azione e dal pensiero culturale, ma essa deve essere cambiata, per il semplice motivo che nella versione attuale non durerà a lungo.
Siamo a un bivio: tutto può andare malissimo (se continueremo ancora a fare in modo che siano altri, o le circostanze stesse, a decidere per noi), o benissimo (se ognuno di noi assumerà su se stesso la responsabilità della scelta, e del cambiamento). La cultura è in grado di essere – come è sempre stato – un orientamento per interpretare i tempi difficili che viviamo, alla luce di un passato che fa parte di noi e proiettandoli in un futuro che non è affatto prestabilito a partire dall’oggi (chiunque sostenga il contrario, secondo un vecchio adagio, “vi sta vendendo qualcosa”).
Allacciatevi le cinture, e tenetevi forte. Se tutto va bene, sarà qualcosa da raccontare ai nipotini. Se tutto va male, non ci saranno nipotini.
P.S.: Caliandro scrive anche:
Non a caso, l’impiego di strumenti vecchi (o meglio, antichi: tecniche, modalità progettuali e costruttive, stili espressivi e formali), se con- sapevole e anti-nostalgico, non è affatto il primo passo verso la regressione e la restaurazione, ma rappresenta piuttosto la via d’accesso più vera e sicura al classico.
Vale a dire, al futuro.
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