E così sono passati 101 giorni.

La legge elettorale che sarebbe stata la cosa più urgente da fare, per i millemila motivi che conoscete, non è ancora stata inquadrata, anzi, è stata inserita nel quadro troppo ambizioso delle riforme costituzionali a diciotto mesi. Ora è diventata urgentissima (chi l’avrebbe mai detto?!) e però abbiamo buttato via più di tre mesi senza fare nulla, senza nemmeno pretendere che le forze politiche facessero la loro proposta.

Sul versante del partito, l’abilissimo Epifani (che di giorni ne conta quasi novanta) ha preso tempo, sulle regole del Congresso soprattutto, che ormai è chiaro a tutti che qualcuno vorrebbe proprio non fare.

Le misure economiche varate non sono certo quelle misure di svolta che tutti avevamo promesso in campagna elettorale. Il rinvio della questione fiscale, per dirna una, è la cosa più sbagliata, anche perché determinata dalla propaganda elettorale di Berlusconi.

Il risultato che ci siamo supremamente incartati, che non si può andare a votare perché non abbiamo cambiato la legge elettorale, che non si può dire agli elettori di avere fatto qualcosa di memorabile, che non si è avviata quella riflessione necessaria sulla cultura e proposta politica del Pd che solo un Congresso può assicurare. Perché ormai è chiaro a tutti che non è solo una questione di leader e di slogan, ma di retroterra culturale, di rappresentanza sociale, di speranza collettiva che andrebbero costruiti prima di ogni altra cosa.

Si naviga senza vista, sperando che Brunetta e Schifani non esagerino, che la pitonessa pitoneggi con garbo, che Alfano si defili almeno un po’, che Mauro non faccia dichiarazioni sugli F-35, che Brunetta non attacchi Saccomanni, che Gasparri non faccia il briatore sui controlli fiscali.

Dall’altra parte si impone la linea Casaleggio, Grillo dice mai e poi mai, e per fare un altro governo ci vorrebbe il metodo google per gli hamburger, perché ogni tentativo è frustrato prima di cominciare, come se non fossero bastate le lezioni di aprile.

Ci vuole qualcosa d’altro, ma proprio per questo non si creano le condizioni perché qualcosa d’altro si manifesti: ci vorrebbe un Congresso per fare emergere nuove figure e nuove parole, una legge elettorale per liberare il Parlamento, una rottura dello schema per scongelarlo.

Ma proprio per tutti questi motivi, e perché così cambierebbe di certo qualcosa, non si fa nulla.

Non è misoneismo, è autoconservazione: solo che se si va avanti così non si conserverà nessuno. E i cittadini si allontaneranno ancora di più.

Tutto è perduto? No. Ma si fa fatica a mostrare cose ovvie a chi insiste a non volerle vedere. Che ci vorrebbe Saramago, a raccontare una situazione così.

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