Ho fatto questa domanda a Mirko Tutino, da sempre impegnato per trovare una soluzione: lo ha fatto per i rifiuti, ora lo fa per l’acqua.

La risposta è preziosa e il senso si coglie soprattutto nelle ultime righe.

Dove sono finiti i referendum per l’acqua pubblica?

Due anni vissuti silenziosamente. La politica, anche quella del Partito che vogliamo cambiare (ed é anche per questo che lo dobbiamo cambiare) a due anni dal referendum non ha prodotto nulla.

Sono rarissimi i Comuni che hanno aperto una discussione seria e partecipata sulla gestione dell’acqua, il patto di stabilità continua a creare ostacoli a vuole la ripubblicizzazione ed il metodo tariffario che avrebbe dovuto togliere l’utile dalle bollette é messo in discussione dal movimento per l’acqua e da decine di ricorsi.

L’ennesimo referendum non attuato e che ci siamo scordati subito dopo averlo vinto e giocando la partita con non poco ritardo. Avremmo potuto proporre un “patto per l’acqua” che rispondesse alla straordinaria partecipazione nata con il referendum.

Avremmo potuto chiamare i nostri amministratori locali e dire loro che le aziende pubbliche efficienti e capaci di fare gli investimenti necessari esistono e ce ne sono anche in Italia. Avremmo potuto partire da qui nel fare un Governo diverso del nostro paese a marzo. Non a caso, nel documento “Destinazione Italia”, questo Governo sostiene le gestioni private dell’acqua, che viene intesa come un business per aprire l’Italia agli investimenti stranieri. Altro che “servizio pubblico”.

La gestione pubblica dell’acqua non è un concetto teorico, è uno strumento per garantire a prezzi equi e non condizionati dal mercato oggi e nel futuro una risorsa fondamentale. È una strategia di governo del territorio per garantire all’agricoltura, alle imprese ed alle famiglie acqua di qualità e con continuità. È un mezzo per avere fiumi e mari più puliti.

Pensiamoci, le larghe intese con il nostro ecosistema e con le future generazioni potrebbero diventare il nostro nuovo orizzonte.

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