Leggo che esisterebbe un piano B. Mi pare un retroscena giornalistico, ma è da settimane che su Repubblica si trovano vere e proprie anticipazioni di ciò che, poi, dopo qualche giorno, accade davvero (mai giornale è stato così vicino a un premier, fin dalle primarie).

Ora, anche Annunziata fa notare che a Renzi manca l’investitura popolare e, se ricordate, era la questione delle questioni del mio disagio di fronte alla scelta di Renzi di andare al governo senza passare dal voto dei cittadini, come aveva sempre dichiarato di voler fare. Acqua passata, si dirà. Mica tanto, perché dopo pochissimo tempo la questione si pone con forza.

Ora, se non riducessimo tutto quanto, come il premier e la ministra hanno voluto fare per primi, a una prova muscolare tra chi ha potere e chi non ce l’ha, prendendo a pallonate tutti coloro che hanno espresso un punto di vista diverso, a cominciare dai professoroni per finire con i terribili Chiti e Tocci, capiremmo alcune cose.

La prima delle quali è proprio quella del mandato elettorale. Nessuno è stato eletto per fare le riforme (soprattutto riforme fatte esattamente così), non c’è traccia di niente di simile e di preciso nei programmi elettorali di nessuna forza politica (a cominciare dalla nostra) e soprattutto non c’è una maggioranza che rappresenti il voto popolare. Per di più, la stessa composizione del Parlamento è determinata da una legge elettorale dichiarata incostituzionale. E, da ultimo, visto che il tema elettorale è così scottante, anche pretendere di fare la riforma del Senato durante la campagna elettorale è sbagliata sotto il profilo politico e molto discutibile dal punto di vista istituzionale.

Come ricordava il Post ieri, il tema elettorale ritorna anche per via del supremo pasticcio dell’Italicum: Bersani ha dichiarato che il combinato disposto delle due riforme sarebbe «roba da Sud America».

In secondo luogo, c’è da precisare che la proposta di Renzi non abolisce il Senato: tutt’al più abolisce i senatori. E non è un caso che su questo punto si concentri la vera questione politica.

Perché tutti sono d’accordo nel superamento del bicameralismo perfetto (noi ne chiediamo uno «migliore», così l’ha definito Walter Tocci), tutti pensano che il Senato si debba occupare di cose importanti ma diverse da quelle della Camera, tutti sono convinti che possa avere funzioni di garanzia e di controllo sull’operato del governo.

Il punto è che un Senato di secondo livello, di sindaci e consiglieri regionali dedicati part-time (parzialissimo time) a quelle funzioni, sembra a molti (forse alla maggioranza dei senatori) una soluzione molto fragile. Un modello molto creativo, certamente, che però, cara ministra, non c’entra niente con il Bundesrat che lei spesso cita. Sarebbe un Senato minore, anzi, minimo, che si occupa di cose importantissime, senza poter dare continuità e prestigio necessari al proprio lavoro. E sarebbe un Senato di nominati dalla politica, inevitabilmente, così come la Camera (secondo una nota battuta satirica di Spinoza che ci fa capire molte cose): tra l’altro, sarebbe un Senato di due soli partiti, di fatto, perché così sono gli equilibri a livello locale, soprattutto se la rappresentanza di ogni singola regione fosse contenuta.

E se l’argomento è che così i senatori non li paghiamo, beh, mi aspetterei di meglio dalla nuova classe dirigente che vuole cambiare il Paese.

Sarebbe stato meglio abolire il Senato, e dare più poteri di garanzia all’unica Camera sopravvissuta, come proposi a Renzi in tempi non sospetti, a gennaio, quando non era nemmeno premier (lui mi disse di non essere d’accordo, pace).

Sul carattere elettivo del Senato circola un argomento che il governo ritiene definitivo: dice il Premier che un Senato elettivo sarebbe «una contraddizione con l’impostazione di fondo». Ecco, basterebbe spiegasse quale è l’impostazione di fondo del suo progetto di Senato perché è proprio quello che continua a sfuggire a me come alla maggior parte dei senatori. Di tutti i gruppi. E se l’«impostazione di fondo» è quella di conservare il Senato, allora la questione dell’elezione dei senatori si pone eccome.

Più precisa la ministra Boschi, la quale sostiene che sarebbe contraddittorio far eleggere direttamente il Senato negandogli però il potere di dare la fiducia al Governo. Ma perché? Esistono Senati in tutto o in parte elettivi che non danno la fiducia al Governo. A noi pare, invece, che porrebbe maggiori problemi un Senato non eletto a suffragio universale che partecipasse all’attività legislativa (perché se non facesse questo – anche se in modo differenziato rispetto alla Camera – il Senato che dovrebbe fare?). E questo per una piena attuazione del principio democratico, come ha ricordato più volte Lorenza Carlassare. E soprattutto per rispondere al desiderio di partecipazione degli elettori a cui si vuole sottrarre sempre più spesso la possibilità di scegliere gli eletti. Sostituendoli con i nominati. Per tutti coloro che pensano che democrazia, rappresentanza e partecipazioni siano essenziali: per me, è forse la ragione politica fondamentale. Altrimenti, stanno a casa loro, e starei, a questo punto, a casa anche io.

Da ultimo, e veniamo alla questione politica, non si può mettere la fiducia, per di più in campagna elettorale, su una legge di riforma costituzionale. Non ha senso richiamare tutti, dentro e fuori, a una disciplina dettata dalla contingenza politica e non dallo sguardo sul futuro.

In conclusione, se si vuole mediare, non si può dire teniamo tutti i «paletti» e cambiamo due o tre virgole, perché quella non sarebbe una mediazione, ma un’imposizione.

Se si vuole mediare, allargando il consenso a tutte le forze parlamentari, come si è sempre detto a parole di voler fare, si proceda a considerare l’argomento dell’elezione diretta dei senatori (in tutto o in parte). Si otterrebbe un Senato migliore, si potrebbe trovare il consenso di tutto il Parlamento o quasi (da Fi a M5s, passando per i centristi) e si farebbe figura da statista (questa volta per davvero), sia nel metodo che nel merito.

Mi permetto di suggerirlo anche al Presidente della Repubblica: non voglio nemmeno credere alle voci che parlano di un suo intervento diretto nella discussione della commissione Affari costituzionali, né al fatto che si metterebbe dalla parte del governo contro i parlamentari ‘recalcitranti’, perché sarebbe semplicemente incredibile.

Ciò che consiglio è di fare le cose bene, con il consenso più ampio, senza forzature e senza obbligare nessuno a pasticciare la Costituzione per prendere il 2% in più alle Europee. Che poi magari non lo si prende, facendo un pasticcio, il 2% in più alle Europee.

Se poi Renzi, attraverso Verdini, convincesse Berlusconi, stia sereno: passerebbe la sua riforma sbagliata.

Se invece si scegliesse la strada della mediazione, quella vera, politica e costituzionale, il Senato sarebbe elettivo: totalmente, come propone Chiti; in larga misura, come propone il vostro affezionatissimo; con elezione contestuale dei senatori e dei consiglieri regionali (ovvero elezione del Senato nel giorno in cui si vota per la propria Regione), come sembra voler proporre Calderoli, riprendendo lo schema della cosiddetta devolution (riforma che passò per essere bocciata poi dai cittadini, nel 2006, a larghissima maggioranza: per dire che non è vero che sono trent’anni che se ne parla, come ripete spesso l’inner circle renziano, senza mai approvare alcunché).

Delle tre, ovviamente, preferisco le prime due. Ma queste tre sono le uniche mediazioni: le altre non sono mediazioni, sono imposizioni.

Ecco. Spero che si sia chiarito tutto quanto.

P.S.: l’idea che se Berlusconi non ci sta, si va a votare con l’Italicum anche per il Senato, conferma tutta la fragilità dello schema. Primo, perché l’Italicum l’abbiamo assurdamente votato solo per la Camera. Secondo, perché ci sarebbe comunque il rischio di due ballottaggi diversi. Terzo, perché a quasi tutti più che l’Italicum converrebbe il Consultellum. Che avrebbe anche due vantaggi straordinari: non sarebbe incostituzionale e sarebbe già pronto. Per dire che a volte i bluff sono un po’ scoperti.

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