Il pezzo di ieri di Stefano Rodotà per Repubblica (che trovate qui) è in linea con i contributi che da mesi, grazie all’aiuto di Andrea Pertici e all’impegno dei senatori guidati da Vannino Chiti e Walter Tocci, stiamo cercando di sottoporre all’attenzione del dibattito politico (qui il punto da cui siamo partiti).
Il primo problema riguarda l’impossibilità di considerare la proposta del Governo fuori della sua globalità — Non si possono disconnettere i diversi momenti di riforma del sistema parlamentare, modificando la legge elettorale della Camera e lasciando nel limbo quella del Senato e considerando quest’ultimo fuori degli equilibri costituzionali. Poiché al centro della proposta governativa è la Camera, da qui bisogna partire.
Il modello Italicum avrebbe potuto essere sostituito da altri, ma questa scelta è stata preclusa dai contraenti dell’oscuro patto del Nazareno. Ma quel testo deve essere rispettoso dei principi posti dalla Corte costituzionale con la sentenza che ha cancellato il Porcellum, in primo luogo il principio di rappresentanza. La inammissibile logica ipermaggioritaria adottata lo contraddice. Si ha qualche segno di ripensamento rispetto alle soglie previste, alzando al 40% quella che esclude il ballottaggio tra le due prime coalizioni e facendo scendere quella prevista per i partiti in coalizione. Mossa, quest’ultima, congiunturale, perché sembra una assicurazione di sopravvivenza offerta a Ncd e Sel perché entrino, rispettivamente, nella coalizione di centrodestra e di centrosinistra. Ma, riconosciuta questa distorsione, rimane intoccata quella che pone all’8% la soglia per l’ingresso alla Camera dei partiti che si presentano da soli. Una mossa di chiusura al nuovo, che scoraggia le dinamiche politiche, e così non contempla il futuro e confina nella società innovazione e conflitto, con rischi di incostituzionalità e delegittimazione della rappresentanza politica. Altrettanto conservatrice è la scelta di arroccarsi sul passato per il diritto degli elettori di scegliere i loro rappresentanti. Il risultato è la separazione tra istituzioni e cittadini.
Questo allontanarsi dal principio di base indicato dalla Corte fa rischiare l’uscita dalla democrazia rappresentativa e l’approdo a una democrazia dell’investitura e della ratifica. Se il voto serve solo a scegliere il Governo, e questo diviene poi padrone della Camera alla quale può essere imposto di ratificare ogni suo provvedimento, il bilanciamento dei poteri è infranto, gli equilibri costituzionali saltano. Qui bisogna intervenire, e da qui nasce l’obbligo di guardare al Senato come istituzione che contribuisca a restaurare un equilibrio altrimenti perduto.
Escluso che il Senato voti la fiducia al Governo e la legge di bilancio, non si possono evocare esigenze di governabilità e si deve entrare nella diversa logica dei controlli e delle garanzie, una volta abbandonato il bicameralismo perfetto. È necessario un suo ruolo paritario per le leggi costituzionali e l’elezione del Presidente della Repubblica, dei giudici costituzionali, del Consiglio superiore della magistratura. Vi sono ragioni perché al Senato sia attribuito il potere d’inchiesta, di dare parere vincolante su determinate nomine, di valutare autorizzazioni a procedere e all’arresto, di risolvere questioni su conflitti d’interesse e eleggibilità dei parlamentari. Tutte materie da sottrarre alla logica maggioritaria, come deve accadere per i diritti fondamentali. Tema da affrontare sia prevedendo in generale (quindi anche per la Camera) maggioranze qualificate quando si voglia intervenire su di essi; sia prevedendo per il Senato di intervenire in modo paritario nel procedimento legislativo.
Rodotà presenta il Senato «come garanzia del futuro»:
In questo modo il Senato uscirebbe dall’irrilevanza alla quale lo condanna il testo del Governo e, per la partecipazione alla legislazione, si abbandonerebbe il gioco dell’oca al quale viene condannato, con un eterno ritorno alla casella di partenza, visto che il potere sarebbe saldissimo nelle mani della maggioranza della Camera. Le funzioni del Senato sono compatibili con l’elezione diretta dei suoi componenti e pure con il metodo proporzionale, non solo per differenziarlo dalla Camera, ma perché le funzioni di garanzia non coincidono con la logica puramente maggioritaria. Senza una preventiva individuazione delle competenze è futile la discussione sulle modalità di elezione, che approda a proposte come quella francese, già vecchia nel paese d’origine. E per i costi, tanto enfatizzati, i risparmi possono venire da una bilanciata riduzione del numero dei parlamentari e della loro indennità.
Rodotà si chiede se ci siano le condizioni politiche per discuterne:
Questi suggerimenti danno indicazioni per approdare a un modello innovativo. Vi sono le condizioni politiche e culturali per farlo? Non lo so, ma credo fermamente che bisogna lavorare come se fosse possibile crearle. E l’innovazione sarebbe monca, e il segno conservatore rimarrebbe, se la democrazia rappresentativa non venisse integrata con quella partecipativa, come indica il Trattato di Lisbona.
Per Rodotà, infine, l’elenco degli interventi assomigliano al nostro #progetto2giugno:
Nuova disciplina delle iniziative legislative popolari, forme di intervento dei cittadini, a esempio con referendum propositivi, uso dei media civici costituiscono la gamba di cui una democrazia azzoppata ha bisogno per non declinare in democrazia plebiscitaria.
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